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“L’uomo di destra procede per entusiasmo o per indignazione, per ammirazione o per disgusto, difficilmente lo fa per riflessione. Non è riflessivo ma reattivo. Da ciò le sue reazioni, quasi sempre emotive di fronte all’evento… Quello che colpisce è la capacità degli uomini di destra di fare di una mosca un elefante. La destra tende spesso a ricondurre tutto alle persone. Per questo i movimenti politici di destra sono prima di tutto legati ai loro fondatori, e raramente sopravvivono ad essi. Le diatribe di destra sono spesso diatribe personali, con alla base sempre gli stessi pettegolezzi, le stesse dicerie, le stesse imputazioni calunniose”.

L’analisi è di Alain De Benoist, filosofo francese, fondatore della Nouvelle droite, il movimento di idee nato negli anni ’70 che aveva lo scopo di aprire al confronto il pensiero della destra politica, sembra calzare a pennello. Ricondurla alla situazione politica del Comune di Matera significa senza dubbio sminuirla ma quelle parole spiegano meglio di molte altre il perché si assiste alla liquefazione di un mondo che non riesce a fare sintesi, ad aggregarsi, a Roma come in Basilicata.

A Matera c’è una lunga, lunghissima faida che si sopisce e si riaccende e che ha origini lontane.

Per restare in epoca recente, al 2002, quando Angelo Tosto (che di destra non è mai stato, almeno formalmente) sembrava poter essere l’antagonista di Michele Porcari alla guida della città. Una candidatura osteggiata da una parte della destra, di cui Emilio Nicola Buccico era un riferimento assoluto.

Cinque anni dopo, nel 2007, ci fu l’esperienza amministrativa di Emilio Nicola Buccico, che al primo turno sconfisse la coalizione civica messa in piedi proprio da Angelo Tosto e che aveva in Saverio Acito il leader dello schieramento. E’ finita come tutti sanno con una vittoria al ballottaggio (quando i contendenti decisero di sotterrare l’ascia di guerra) e con la successiva gazzarra, scatenatasi un minuto dopo il successo elettorale e consumatasi tra veleni, sospetti e accuse di tradimento. Nel 2009 la “rivincita” di Buccico e di Acito che costarono a Tosto la carica di sindaco per una manciata di consensi al secondo turno, contro Adduce.

Si arriva ad oggi, alla campagna elettorale del 2015, con gli attori di questi dieci anni di conflitti, ancora una volta uniti, al capezzale di De Ruggieri, a comporre un rassemblement più ampio che comprendeva anche spezzoni di centrosinistra. Giù le bandiere, era il motto. Tutti un passo indietro per far fare a De Ruggieri un passo avanti. Un passo che però sembra essersi dimostrato falso sin dal primo momento. Sin dalla formazione della giunta comunale che non ha soddisfatto le attese riposte nel nuovo governo della città.

La storia si ripete perché, alla prima prova, la mancanza di fiducia reciproca torna a galla. Iniziano le critiche ed è facile prevedere che queste critiche prima o poi porteranno alla battaglia in campo aperto. Le avvisaglie ci sono tutte.

L’arcipelago della destra o del centrodestra appare oggi come un agglomerato di atolli, ognuno con un proprio re che non ammette opposizioni. Individui che pensano di avere la verità in tasca e che mal sopportano chi dissente. Ogni testa fa regno a sé e non importa se questo regno è, nella migliore delle ipotesi, largamente minoritario.

Tutto insieme il centrodestra a Matera può rappresentare il 38 percento dell’elettorato (la cifra raggiunta in più occasioni alle Politiche). Una soglia che non consente di vincere, nell’immediato, se non con il supporto di una parte del centrosinistra.

Senza unità e senza un partito, però, il centrodestra, sospeso tra l’essere un’opzione politica e un sentimento nostalgico di appartenenza, torna in mano ai notabili, tutti con un pacchetto di voti da distribuire a chi se lo “merita” e scelti spesso per il grado di fedeltà alle idee del capo.

Se ci fosse il senso di appartenenza che lega i membri di un partito si aprirebbe una battaglia di correnti con idee e uomini in campo. Oggi non è così. Ognuno sta sul suo Aventino e mostra la sua ritrosia a scendere a valle, nonostante ne abbia una voglia matta e disperatissima.

Ecco perché l’unica via d’uscita che ha quell’area politica che non si riconosce nel Pd, nel partito regione o nel partito nazione, è l’umiltà. La volontà di aiutare, senza secondi fini, il percorso della città verso il 2019 favorendo, nel contempo, l’ascesa di nuove classi dirigenti che si autodeterminano e che devono essere (non solo apparire) indipendenti nel pensiero e nelle azioni politiche.

Giuseppe Prezzolini individuava come caratteristica fondamentale del “vero conservatore”, la capacità di “non ripetere esperienze fallite o esaurite e di indicare, a problemi nuovi, soluzioni nuove”. La strada è questa ma potranno percorrerla, forse, solo uomini nuovi.

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