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La Corte di Cassazione

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Malapolitica lucana, le motivazioni della bocciatura da parte della Corte di Cassazione del ricorso contro il ritorno in libertà di Spera, Di Lascio e Piro

POTENZA – I ricorsi per chiedere il ripristino delle misure cautelari emesse nell’ambito della maxi inchiesta sulla “malapolitica lucana” nei confronti dell’ex sindaca di Lagonegro, Maria Di Lascio, dell’ex assessore regionale all’Agricoltura Franco Cupparo (Fi), e del direttore generale dell’Azienda ospedaliera San Carlo, Giuseppe Spera, sono stati fatti male. In quanto del tutto deficitari «in merito alla sussistenza delle esigenze cautelari».

È questa la motivazione alla base della pronuncia con cui, a metà marzo, la Corte di cassazione ha giudicato inammissibile nell’ambito dell’operazione Malapolitica Lucana il ricorso presentato dai pm di Potenza contro le sentenze con cui a fine ottobre il Tribunale del Riesame di Potenza aveva revocato gli arresti domiciliari per Di Lascio, l’obbligo di dimora a Francavilla per Cupparo (Fi), e la sospensione dai pubblici uffici per Spera. Spingendo il gip Antonello Amodeo a rimettere in libertà anche gli altri due destinatari dell’ordinanza di arresti eseguita qualche settimana prima: il capogruppo di Forza Italia in Consiglio regionale, Francesco Piro, e l’ex assessore alla sanità, e attuale consigliere regionale “semplice” di Fratelli d’Italia, Rocco Leone.

MALAPOLITICA LUCANA, LE MOTIVAZIONI DELLA DECISONE DELLA CASSAZIONE

La sesta sezione della Cassazione, presieduta da Massimo Ricciarelli, ha liquidato in poche righe la questione, accogliendo i rilievi sulla mancata esposizione delle esigenze cautelari alla base della richiesta di ripristinare le misure cautelare avanzati dai ricorso dei pm avanzate dai difensori dei tre indagati: l’avvocato Alessandro Singetta Per Di Lascio; Maurizio Spera e Savino Murro per Spera; e Pasquale Ciancia ed Enzo Bonafine per Cupparo. Tanto più che in seguito all’esecuzione delle misure cautelari annullate Di Lascio è comunque decaduta dall’incarico di sindaca di Lagonegro, e attualmente è una semplice consigliera comunale di opposizione. Mentre Cupparo si è dimesso sia da assessore che da consigliere regionale, tornando alla vita privata e al lavoro nella sua azienda di prefabbricati.

La Cassazione ha ritenuto insuperabile il rilievo sulla mancata esposizione delle esigenze cautelari alla base delle restrizioni richieste nonostante la memoria integrativa presentata dal pm titolare dell’inchiesta, Vincenzo Montemurro, in seguito al parere favorevole alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso, proprio per questo motivo, depositato poco prima dell’udienza dal sostituto procuratore generale della Corte di cassazione, Raffaele Piccirillo. Memoria integrativa che giudicata «tardiva», quindi non in grado di soccorrere al vizio del ricorso originale.

Nulla hanno aggiunto invece i giudici di Trastevere sul merito dell’inchiesta, che ha preso di mira le presunte corruttele elettorali consumatesi in occasione del voto di settembre del 2020 per il rinnovo di sindaco e consiglio comunale di Lagonegro, e un presunto sistema di potere interno alla maggioranza regionale che avrebbe voluto «speculare» sulla ristrutturazione dell’ospedale di Lagonegro e la gestione della sanità più in generale.

I PM DOVRANNO DECISERE SE CHIEDERE IL RINVIO A GIUDIZIO PER 29 INDAGATI

Nei prossimi giorni, quindi, i pm di Potenza avranno mano libera per decidere se chiedere il rinvio a giudizio o meno per i 29 destinatari dell’avviso di chiusura delle indagini notificato a metà aprile. Inclusi Vito Bardi, il senatore Gianni Rosa (FdI), i due assessori regionali in carica della Lega, Francesco Fanelli e Donatella Merra, il direttore generale facente funzioni dell’Asp, Luigi D’Angola, e l’ex direttore generale del dipartimento regionale Salute, e attuale subcommissario regionale alla Sanità della Regione Calabria, Ernesto Esposito.

Bardi risulta indagato, in particolare, per una tentata induzione indebita in concorso con l’ex assessore Leone e il capo dell’ufficio legislativo della presidenza della giunta regionale, Antonio Ferrara, in relazione alle presunte pressioni esercitate su un avvocato della Regione, Valerio Di Giacomo.

Pressioni indirizzate ad ammorbidire la difesa della Regione davanti al Tar Basilicata, rispetto al ricorso presentato da Spera (e in seguito accolto dai giudici amministrativi) contro la nomina del suo predecessore alla guida del San Carlo, Massimo Barresi, scelto dalla vecchia giunta di centrosinistra e inviso all’amministrazione Bardi. Lo stesso Barresi che avrebbe dato il “la” all’inchiesta denunciando di aver ricevuto pressioni di vario tipo.

MALAPOLITICA LUCANA, LE ACCUSE AI POLITICI REGIONALI

Bardi, Leone, Cupparo, Fanelli, Merra e l’allora assessore regionale all’Ambiente Rosa sono accusati anche di abuso d’ufficio per aver incaricato il direttore generale del Dipartimento sanità di «dare istruzioni» agli avvocati della Regione sulla linea difensiva da adottare nel contenzioso sulla legittimità delle nomina di Barresi.

Cinque dei sei componenti della vecchia giunta regionale (Bardi, Leone, Cupparo, Fanelli e Rosa) risultano indagati anche per un’ultima ipotesi di tentata induzione indebita per il taglio, a luglio del 2020, dei fondi destinati al San Carlo all’epoca ancora guidato da Barresi, ormai inviso all’amministrazione regionale.

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