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ROMA – E’ la Lombardia, seguita dal Veneto, la regione dalla quale va via la maggior parte degli italiani che scelgono di vivere all’estero. Ma «il vero divario non è tra Nord e Sud, ma tra città e aree interne. Sono luoghi che si trovano al Sud e al Nord, ma che al Sud diventano doppia perdita: verso il Settentrione e verso l’estero. A svuotarsi sono i territori già provati da spopolamento, senilizzazione, eventi calamitosi o sfortunate congiunture economiche». E’ quanto sottolinea il Rapporto sugli italiani all’estero di Migrantes, la fondazione della Cei.

«Un esempio – si legge nel dossier presentato ieri a Roma – valga su tutti: il 23 novembre 2020 cadrà il 40° anniversario del terremoto più catastrofico della storia repubblicana, quello che colpì Campania e Basilicata. Ancora oggi queste aree sono provate nelle loro zone interne da numerose partenze, ma contemporaneamente mantengono all’estero il grande valore di comunità numerose con tradizioni e peculiarità specifiche».

La Lombardia continua ad essere oggi la regione principale per numero di partenze totali  (oltre 22 mila, pari al 19,1% del totale delle cancellazioni) ma non si può parlare di aumento percentuale delle stesse (-3,8% nell’ultimo anno). Il discorso opposto vale, invece, per il Molise (+18,1%), la Campania (+13,9%), la Calabria (+13,6%) e il Veneto (+13,3%). Le regioni per le quali è più consistente il flusso migratorio di italiani verso l’estero sono – dopo la Lombardia – il Veneto e la Sicilia (oltre 11 mila, 10%), il Lazio (circa 10 mila, 8,7%), e il Piemonte (9 mila, pari al 7,6%). La quota più elevata di donne che espatria si registra in Friuli-Venezia Giulia e in Trentino Alto Adige (rispettivamente, 47% e 46,4%), la più bassa in Puglia e in Calabria (42%). Le prime cinque province di cancellazione per l’estero sono Roma, Milano, Torino, Napoli e Brescia, le quali, nel complesso, rappresentano circa il 22,6% delle migrazioni in uscita.

Il Rapporto evidenzia un altro elemento: «Il dato della Sardegna (-14,6%) e, unitamente, anche quello della Sicilia (-0,3%), dell’Abruzzo (1,5%) e della Basilicata (3,4%) si spiega considerando la circolarità del protagonismo regionale. Vi sono regioni, cioè, che oggi hanno raggiunto un grado talmente alto di desertificazione e polverizzazione sociale da non riuscire più a dare linfa neppure alla mobilità nonostante le partenze in valore assoluto – ed è il caso della Sicilia in particolare – le pongano al terzo posto tra tutte le regioni di Italia per numero di partenze. In generale, quindi, le regioni del Nord sono le più rappresentate, ma nel dettaglio viene naturale chiedersi quanti pur partendo oggi dalla Lombardia o dal Veneto sono, in realtà, figli di una prima migrazione per studio, lavoro o trasferimento della famiglia dal Sud al Nord Italia».

In particolare,  i lucani espatriati sono stati 1.104 (609 maschi e 495 donne), a fronte dei 1.066 del 2019.

Il rapporto indica nelle regioni del nord e centro i territori più interessati dai flussi migratori: nel periodo 2017/20 il Veneto ha registrato il  +34%, mentre nel Sud il Molise è a quota +14,5%, la Calabria a +22,3 e  la Basilicata a +3%. Su 130.936 emigrati, la Basilicata ha contribuito per lo 0.8 a fronte dello 0.7 del Molise che ha quasi la metà della popolazione.

Il 53% degli emigrati, secondo Istat, è in possesso della  laurea o del diploma. E proprio l’alta scolarizzazione di chi parte interessa anche i lucani in fuga: il rapporto, commenta Luigi Scaglione, presidente del Centro studi  internazionali lucani nel mondo e coordinatore delle Consulte regionali in senso al Cgie, conferma «la tendenza anche lucana di una emigrazione fatta di giovani scolarizzati che partono alla ricerca di una nuova vita anche attraverso la ricerca di un lavoro marginale e sottodimensionato rispetto alle proprie capacità.   Non basta il dato numerico di soli 1104 lucani partiti nel 2019 ed iscritti ufficialmente all’Aire a spiegare che la percentuale bassa, pari allo 0,8% degli espatri nazionali, non è di fatto indicativa di un fenomeno che continua ad essere costante».

In totale sono 133.914 i lucani ufficialmente residenti all’estero, ma «la percentuale che incide sulla popolazione residente di alcuni comuni lucani in testa alla graduatoria, come Marsico Nuovo, San Fele, Potenza, Lauria e Oppido Lucano nell’ordine, conferma la tendenza a un impoverimento culturale delle nostre comunità e non solo allo spopolamento generale che pure funziona in questa direzione». 

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Tra i primi   comuni per incidenza del fenomeno ci sono Castelgrande, Montemurro, Pescopagano e San Chirico Raparo.

Scaglione rileva «l’errata narrazione che la mobilità italiana, soprattutto più recente, coinvolga il Nord del nostro Paese piuttosto che il Sud. La disaggregazione del dato provinciale e l’analisi sul lungo periodo ci raccontano un’altra storia, quella cioè per la quale le zone interne, di qualsiasi parte di Italia, più fragili e maggiormente dimenticate, hanno continuato ad essere i luoghi privilegiati da cui le partenze hanno “succhiato nuova linfa” portando alcuni territori al loro livello massimo di desertificazione e spopolamento al punto da rilevare nei dati, l’alternanza o circolarità del protagonismo di alcuni luoghi su altri e un ricambio temporale fatto di arresto di partenze e poi di nuovo protagonismo. Nelle zone interne si creano ulteriori criticità a seconda che le stesse siano state caratterizzate da eventi più o meno tragici, più o meno diffusi».

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