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Il pm Annunziata Cazzetta ed il colonnello dei carabinieri Samuele Sighinolfi

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MATERA – Inizialmente si era parlato a livello mediatico, di una sorta di conflitto tra la Procura di Matera e la Distrettuale antimafia di Potenza, per quello che sembrava il diniego opposto al trasferimento di alcuni fascicoli d’indagine piuttosto scottanti.
L’episodio, oggi spiegato da un giudice terzo come un semplice “difetto di comunicazione”, nel 2018 portò il sostituto procuratore del tribunale di Matera, Annunziata Cazzetta, a querelare per diffamazione e calunnia l’allora comandante provinciale dei carabinieri, il colonnello Samuele Sighinolfi, con il maresciallo maggior Antonio Barnabà della Compagnia carabinieri di Policoro e l’appuntato scelto Vito Antonio Tamborrino.

Un brutto conflitto istituzionale, finito davanti al tribunale di Catanzaro, competente per le controversie che riguardano magistrati della circoscrizione lucana. Il 19 gennaio scorso, il Gip di Catanzaro, Barbara Saccà, ha definitivamente chiuso il caso, disponendo l’archiviazione. Tutto ha avuto inizio il 14 novembre 2018, quando il Procuratore capo del tribunale di Matera, Pietro Argentino, ha inviato ad Annunziata Cazzetta copia di una missiva del Procuratore generale del tribunale di Potenza, Francesco Curcio, chiedendole di relazionare su alcune note di servizio inviate dai tre indagati alla Procura potentina, in cui si parlava del diniego opposto da Cazzetta al trasferimento di otto fascicoli d’indagine a Potenza.

Cazzetta risposte per iscritto al procuratore, spiegando che la richiesta era pervenuta circa un mese prima da Potenza, degli 8 fascicoli due erano in capo al magistrato Colella, 2 a De Fraia, 1 a De Tommasi e 1 a lei, che ricevette la richiesta il 19 ottobre. Lo stesso giorno, la responsabile dell’ufficio Registro Generale del tribunale aveva riferito a Cazzetta di una telefonata del maresciallo Barnabà della Compagnia di Policoro, nella quale il militare avrebbe precisato che entro il 22 ottobre quei fascicoli dovevano essere nella disponibilità del sostituto procuratore di Potenza Anna Gloria Piccininni. Tempi strettissimi, che secondo la ricostruzione di Cazzetta, avrebbero messo in crisi la stessa funzionaria del Registro, in quanto avrebbe dovuto chiedere l’autorizzazione a 4 diversi magistrati. Barnabà, però, aveva rappresentato alla funzionaria di avere l’autorizzazione del procuratore a portare i fascicoli “brevi manu”.

Su quest’ultimo aspetto, che pare fosse stato anche concordato tra Piccininni e Argentino, si materializza il corto circuito: quando l’appuntato Tamborrino si reca al Registro per ritirare i fascicoli, convinto di un accordo tra il superiore Barnabà e la funzionaria, incontra il diniego di quest’ultima perché Cazzetta non aveva ricevuto alcuna disposizione in merito dal procuratore capo, pur essendoci evidentemente un accordo verbale con la Dda di Potenza. Il 22 ottobre 2019, il pm titolare del procedimento ha chiesto l’archiviazione per “infondatezza della notizia di reato”. La pm Cazzetta si oppose, chiedendo la testimonianza come persone informate dei fatti al procuratore Argentino, al sostituto Piccininni, al procuratore Curcio ed all’allora Maggiore dei carabinieri Antonio Mancini.

Il difensore di Cazzetta ha persino chiesto l’imputazione coatta, con un prosieguo delle indagini sul caso. Il Gip, nelle sue argomentazioni, ha chiarito sostanzialmente che il reato di calunnia si configura con l’attribuzione di un preciso delitto, non semplicemente con una “condotta non corrispondente ad alcuna fattispecie legale”, rimarcando che la calunnia richiede una particolare cura nell’accertamento del dolo, così come nel caso della diffamazione, reati che peraltro si assorbirebbero l’uno nell’altro. Il Gip chiarisce che nel caso di specie “non può ritenersi integrato né l’elemento psicologico del delitto di calunnia, né di diffamazione…perché all’epoca dei fatti gli indagati erano convinti di rappresentare i fatti come conformi alla verità”.

Dunque, si esclude inequivocabilmente il dolo, perché i carabinieri stavano semplicemente adempiendo a un dovere d’ufficio, riferendo che Cazzetta aveva opposto diniego alla consegna dei fascicoli, nonostante l’accordo intercorso tra le due Procure di cui loro erano ben informati. Quindi, i militari si sarebbero solo limitati a spiegare le ragioni della mancata consegna dei fascicoli, senza alcuna intenzione di “denunciare ipotetici reati, eventualmente commessi da Cazzetta”. Peraltro, nella richiesta formale della Dda non c’era alcun riferimento al trasferimento mediante i carabinieri.

In conclusione, secondo il Gip: “L’intera vicenda può riassumersi in un difetto di comunicazione che vede protagonisti i soggetti coinvolti”. Quindi, il diniego di Cazzetta sarebbe stato motivato solo dalle mancate disposizioni in merito al trasferimento brevi manu dei fascicoli. Si chiude una vicenda molto delicata, con un apparente conflitto (in realtà mai configuratosi) fra istituzioni.

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