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POTENZA – La sezione d’appello della Corte dei conti ha condannato l’ex direttore generale dell’Azienda sanitaria di Matera, Piero Quinto, a pagare 44.449 euro per aver trattenuto in servizio, e regolarmente retribuito, l’ex direttore sanitario della stessa Asm, Andrea Sacco, nonostante il suo avvenuto pensionamento.
Il collegio romano, presieduto da Rita Loreto, ha accolto l’appello avanzato dalla procura contabile lucana contro l’assoluzione decisa a novembre del 2020 dai giudici di viale del Basento.

Secondo questi ultimi, infatti, quei 44mila euro, pari alla spesa sostenuta per gli stipendi riconosciuti a Sacco da maggio ad agosto del 2015, avrebbero costituito un danno solo teorico per l’Asm. Ovvero una spesa in tutto e per tutto «”sovrapponibile” a quella che sarebbe stata resa e pagata ad un soggetto in possesso dei requisiti per ricoprire l’incarico».

Di diverso avviso i pm che hanno insistito perché fosse riconosciuto che «l’Asm non avrebbe mai dovuto effettuare» l’esborso in questione. A nulla rilevando, sempre secondo i pm, che a settembre 2015 l’ex dg Quinto abbia disposto la «prosecuzione temporanea a titolo gratuito» dell’incarico dei direttore sanitario «per la durata massima di un anno», stipulando con lui un ulteriore contratto «che si concludeva con il subentro del nuovo prescelto in data 1 maggio 2016».

La sezione ha accolto quest’ultima tesi sulla scorta di una prima norma introdotta nel 2006 dal cosiddetto decreto Bersani-Visco, che estendeva i limiti di età per il mantenimento in servizio dei dipendenti pubblici «ai fini dell’attribuzione» di ruoli di alta dirigenza.

«I profili di illegittimità degli atti – si legge nella sentenza di condanna appena depositata – costituiscono un sintomo della dannosità per l’erario delle condotte che all’adozione di quegli atti abbiano concorso».

Pertanto l’attribuzione dell’incarico retribuito di direttore sanitario al Sacco, «soggetto cui era, per ragioni anagrafiche, precluso continuare a svolgere funzioni dirigenziali retribuite nell’amministrazione», non integrerebbe «un mero vizio inficiante l’azione amministrativa, con rilevanza circoscritta alla sfera di legittimità del provvedimento», riverberandosi «anche sugli effetti economici prodotti da questo rendendo, automaticamente, dannosa per l’erario la conseguente spesa».

«Come condivisibilmente ha rilevato il Procuratore appellante – prosegue la sentenza -, lo sbarramento del sessantacinquesimo anno di età è un requisito, previsto per legge, che obiettivizza una valutazione “ex ante” sulla utilità della prestazione lavorativa e, quindi, sull’esito della procedura assunzionale (…) Pertanto, ne deriva che una prestazione resa da un soggetto in possesso di tutti i requisiti richiesti dalla legge non può ritenersi “sovrapponibile” a quella resa da un soggetto che tali requisiti non abbia».

«L’illegittimità del conferimento – insiste ancora la sezione d’appello – costituisce in definitiva il presupposto di antigiuridicità da cui è viziato il comportamento del dottor Quinto, nonché l’antecedente causale da cui discende il danno erariale subito dall’ente».

Quanto poi alla colpa addebitata all’ex dg i giudici constatano che «l’appellato ha posto in essere comportamenti in palese violazione di una norma di azione, di facile interpretazione, provvista di una ragguardevole anzianità di vigenza (norma introdotta dal luglio 2006), senza la minima attenzione agli effetti sostanziali ed economici scaturenti dalla determinazione adottata».

«In altri termini – conclude la Corte – , considerando che la prescrizione normativa cui doveva imperativamente essere conformata la condotta gestionale afferente all’impiego di un pensionato, per ragioni di età, della medesima amministrazione era di una chiarezza tale da non consentire alcun ragionevole spazio di opinabilità interpretativa e applicativa, deve ritenersi che gli scostamenti dal solco della legittimità siano dipesi da ingiustificabile leggerezza gestionale, che integra una condotta quanto meno gravemente colposa».

Quinto è stato condannato anche a pagare le spese processuali e gli interessi sui 44mila euro al centro del processo.

La sentenza appena depositata pare destinata ad avere un riflesso anche su un altro caso simile finito di recente al vaglio della procura regionale della Corte dei conti lucana: quello dell’ormai ex direttore generale dell’Azienda sanitaria di Potenza, il vicentino Giampaolo Stopazzolo.

Nominato a dicembre dell’anno scorso dalla giunta guidata dal governatore Vito Bardi, Stopazzolo è rimasto in carica, regolarmente retribuito, sino a fine giugno, nonostante il pensionamento intervenuto a febbraio. Di qui lo scontro con gli uffici della stessa Asp, che hanno contestato la legittimità della retribuzione non sulla scorta del decreto Bersani-Visco bensì di un ulteriore giro di vite sugli incarichi ai pensionati scattato nel 2012, estendendo il divieto di conferimento anche a chi si è congedato volontariamente. Con l’unica concessione della possibilità di trasformare il rapporto di lavoro a titolo gratuito e per il periodo massimo di un anno.

Per quanto riguarda Stopazzolo, quindi, la tesi degli uffici dell’Asp e dei sindacati, che hanno presentato un esposto al riguardo ai pm contabili, è che da febbraio in poi il dg sarebbe potuto restare in servizio soltanto a titolo gratuito e per un tempo limitato. Fatto sta che a fine giugno, al culmine della polemica che ha coinvolto anche diversi dirigenti della sanità veneta nella medesima posizione, sono arrivate le dimissioni del dg. L’attesa, pertanto, si è spostata sulle determinazioni che vorranno assumere gli inquirenti rispetto alle retribuzioni riconosciute da febbraio a giugno.

Da chiarire, insomma, resta la possibilità di estendere il divieto di retribuzione anche a chi non era in pensione al momento del conferimento dell’incarico ma vi è andato successivamente. Nel caso di Sacco, d’altronde, il pensionamento risaliva al 1 luglio del 2012, 4 mesi dopo il conferimento originale dell’incarico di direttore sanitario, ma sono rimaste incontestate le retribuzioni percepite fino ad aprile del 2015, quando Quinto ha disposto che fosse trattenuto in servizio con un atto equiparato al conferimento di un nuovo incarico.

A pesare su quest’ultima vicenda, tuttavia, potrebbe essere stata la tempistica dell’ultima stretta in materia, che è arrivata con un de creto del governo Monti il 7 luglio 2012, 6 giorni dopo l’avvenuto pensionamento dell’allora direttore sanitario dell’Asm.

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