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Luca Orioli e Marirosa Andreotta, morti 35 anni fa a Policoro

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La madre del giovane morto 35 anni fa si appella al presidente Mattarella: «Non fu il monossido a ucciderli, fare luce sulla morte dei fidanzati di Policoro»

NUOVO appello al capo dello Stato di Olimpia Fuina Orioli, madre di Luca, il cui corpo esanime, trentacinque anni fa, fu ritrovato a Policoro, assieme a quello di Marirosa Andreotta, nel bagno della casa di famiglia di lei. «Al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella – spiega all’Agi “mamma coraggio”, come in tanti l’hanno definita -, che mi ha ricevuta due anni fa, e si è commosso per la mia storia, chiedo un impegno affinché si proceda ad una revisione del caso di Luca, alla luce anche delle evidenze emerse dall’ultima perizia. Non è possibile che lo Stato stia ancora a guardare e rimanga indifferente davanti ad una storia così amara».

Olimpia Fuina Orioli è da trentacinque anni che va alla ricerca della verità sulla morte dei “fidanzati di Policoro” e non ha ancora intenzione di arrendersi. «Ho ottantadue anni – dice la donna – ma non posso e non devo morire fino a quando non avrò consegnato al mio Luca la verità». La Procura di Matera ha archiviato il caso nel 2012 additando come responsabile della morte dei due giovani il monossido di carbonio fuoriuscito da uno scaldabagno, secondo la donna «risultato perfettamente funzionante tanto da essere spostato l’anno seguente in cucina, avendo deciso di rifare il bagno in cui avremmo ancora oggi trovato tracce del macabro evento».

LA STRAZIANTE VICENDA DELLA MORTE DEI FIDANZATI DI POLICORO

È una vicenda lunga e straziante, quella seguita alla morte dei due giovani (all’epoca avevano 20 e 21 anni) divenuti per tutti i “fidanzatini di Policoro”. I loro corpi furono trovati, il 23 marzo del 1988, nel bagno dell’abitazione della ragazza, a Policoro. Una vicenda segnata da dubbi consistenti, tanto da aver indotto comunque gli inquirenti, negli anni, a disporre l’estumulazione dei corpi per consentire l’effettuazione di un nuovo (ennesimo) esame autoptico.

Nelle fase iniziali delle indagini, per il loro decesso si ipotizzò una scarica elettrica dovuta a un malfunzionamento di un caldobagno. Ma subito dopo si fece strada l’ipotesi della morte per monossido di carbonio, successivamente confermata a livello processuale. Nel 2010 gli inquirenti riaprirono il caso. Una nuova autopsia sui due corpi portò però ad una richiesta di archiviazione. Olimpia Fuina, in questi anni, non ha mai creduto alla fatalità. Si è sempre detta invece convinta che la morte dei due ragazzi sia dovuta a un duplice omicidio, e quindi a un tentativo di occultamento delle prove.

L’INTERESSAMENTO DI LIBERA E DELLE ALTRE ASSOCIAZIONI

In questi anni, diverse associazioni, in particolare Libera, le sono state vicine. Ma non solo. Sono stati tanti gli attestati di affetto e solidarietà ricevuti dalla signora Olimpia. Nel 2016, il Comune di Alpignano (To) le ha conferito anche la cittadinanza onoraria per “l’impegno profuso, sia a livello nazionale che internazionale, nelle iniziative sociali e sulla legalità e per la lotta che da anni sostiene – è scritto nella motivazione – per far emergere la verità e la giustizia”.

Il passare degli anni non ha scalfito minimamente la ricerca della verità da parte di questa donna, che ora è tornata all’attacco. «Lo stesso medico legale che nel 2012 decretò la morte per monossido di carbonio facendo chiudere il caso – racconta ancora Olimpia Fuina Orioli all’Agi -, il 5 aprile di quest’anno a “Pomeriggio Norba” ha affermato, smentendosi, che “quel quantitativo di monossido non poteva fare morire due persone”. Una contraddizione che può essere importante – secondo la donna – per riaccendere i riflettori sulla morte di Luca».

«Dopo anni di perizie e di autopsie false e denaro speso per i legali – evidenzia la signora Olimpia – mi ritrovo che nessuna Procura si sia resa conto del danno arrecato al giusto diritto, ormai chiaramente leso. Io credo che una Procura seria non possa ignorare un dato così sconcertante. Imploro il presidente della Repubblica affinché possa richiedere una seria revisione del caso e non certo alla Procura di Matera. Sto chiedendo aiuto, non avendo più forza economica a disposizione. In 35 anni mi hanno dissanguata. Credo fermamente che si possa sempre riparare. Sono pronta a perdonare – conclude la signora Olimpia – l’importante è che il caso sia riaperto».

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