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Nello Daniele

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Debutto a Matera per Nello Daniele, fratello del compianto Pino, nell’intervista al Quotidiano rivela: «Mai pensato a fare una cover band, con me gli artisti migliori»

Il suo primo album risale al 1998 e da quel momento le sue chitarre diventano compagne inseparabili, insieme all’amore familiare che lo lega a suo fratello Pino che, spiega, «è partito per un viaggio».

Nello Daniele e la musica, un legame che passa inevitabilmente da un dna che ha fatto parte della storia del nostro Paese e che ha raccontato Napoli con una declinazione oggi comprensibile in qualsiasi angolo del mondo. Nello non vive il suo cognome come un problema ma, al contrario, come una opportunità per trasmettere la sua passione per la musica che passa senza dubbio attraverso un cognome importante.

TRA PINO E GLI ESPERIMENTI L’ESORDIO DI NELLO DANIELE A MATERA

Il suo è un percorso artistico non casuale, frutto del legame con la musica che non lo ha mai abbandonato, al quale hanno partecipato negli anni molti dei musicisti che hanno suonato con Pino. Da Gigi De Rienzo a Ernesto Vitolo, Tony Cercola, Jerry Popolo e Claudio Romano che lo accompagnano nell’“Acqua salata tour” a ritroso fino a esponenti del calibro di James Senese, Enzo Gragnaniello nel 2006 per l’album “Aspettando ‘o soul” o Pietra Montecorvino e la cantante persiana Yald, il segno delle grandi collaborazioni ha accompagnato la sua carriera e la voglia di fare musica sin da bambino.
Nello Daniele sarà a Matera il 13 luglio alle 21 a Terrazza Lanfranchi con un concerto nell’ambito della rassegna “Estati d’animo”.

Matera sarà un vero e proprio esordio per Nello Daniele. Una prima volta sia come visitatore che come musicista?

«Sì. Per me è una prova molto importante, Matera rappresenta la cultura e non solo quella musicale. La considero un luogo importante per fare musica. Questa rassegna per me è significativa, mette al centro i cantautori e questo si lega al mio filtro che va dalla musica d’autore fino al blues, jazz, funky e naturalmente a quella di mio fratello Pino».

C’è una caratteristica interessante nei suoi lavori: le collaborazioni con musicisti che hanno fatto la storia che non mancano mai nelle sue produzioni.

«Ho scelto di fare il musicista e il mio cognome non è mai stato ingombrante. In famiglia eravamo abituati ad avere un mostro sacro come Pino di cui siamo orgogliosi. Per questo l’intensità emotiva nella musica mi appartiene anche quando salgo sul palco e sento tutti gli occhi addosso. È stato così anche con il mio primo album in classifica per il quale sembrava quasi dovessi dimostrare qualcosa. L’importante è non avere paura di quello che fai.
Questo album esce a otto anni dal “viaggio” di Pino, io lo chiamo così e per me lui è ancora vivo e ogni anno gli dedico un memorial insieme ad altri artisti nel giorno del suo compleanno. Nei miei concerti c’è il racconto di famiglia che non potevo che compiere con chi abbiamo condiviso il palco; oggi ho al mio fianco alcuni di loro perché questa non è una cover band. Nel tour racconto la mia Napoli, i popoli del mare e del Sud in quello che sarà un album che uscirà ad agosto, contaminato da tanti generi musicali in cui ci saranno le mie chitarre».

Nelle voci di donne del Sud come Pietra Montecorvino o la persiana Yalda c’è il racconto del Mediterraneo, cifra anche di suo fratello. Oggi come si declinano quelle sonorità che nel tempo sono cambiate? L’hanno influenzata?

«Ho attinto molto dalla musica di Pino ma mi diverto a sperimentare. Se prendo brani come “Bonne soirée” o “Ferry boat” si ritrovano nella musica cubana di oggi. Mio fratello aveva già fatto trap ad esempio in “Come un gelato all’equatore”, che aveva sorpreso molti, o aveva provato la musica elettronica, si toglieva lo sfizio di farlo, così come con l’arab rock e la musica cubana. Una caratteristica che ho anche io; la melodia puoi farla anche con tre chitarre, in acustico, basta avere la voglia di sperimentare. Io non sono mai stato alla moda, lo dimostrano i luoghi in cui suoneremo questa estate: dai festival ai club jazz. Confontarsi con un djset sarebbe da pazzi».

La nuova musica napoletana descrive un’altra generazione che nasce, in fondo, dalla musica che era nata con suo fratello e con esperienze come “Napoli Centrale”. Cosa hanno preso i nuovi esponenti di oggi da quella storia?

«In molti hanno preso ispirazione anche dalle loro parole, raccontando giustamente la loro generazione. Napoli è stata raccontata da Eduardo, Troisi ma ognuno ha la propria storia: è come un quadro, puoi cambiargli la cornice ma la bellezza del quadro rimane. I ragazzi di oggi sono incredibili perché cantano il loro tempo come ad esempio Clementino, Liberato che mi incuriosisce molto; c’è un nuovo linguaggio napoletano molto interessante anche perché Napoli aveva bisogno di un riscatto sociale che oggi ha ottenuto sia con i successi sportivi che con il ruolo turistico e culturale che sta svolgendo. Oggi vive un momento magico».

Pesano in qualche modo le aspettative che il pubblico ha nei suoi riguardi?

«Non direi. In questo disco, come diceva mio fratello, lascio dei documenti e la conferma è la squadra che crede in questo progetto e lo sta portando avanti con me. Mi piace l’idea di fare ciò che mi piace, con un progetto di nicchia e il pubblico mi sta premiando seguendo la mia musica. Non ho mai pensato di fare una cover band dopo la morte di mio fratello, ma di portare avanti un progetto con i migliori musicisti che il panorama nazionale esprime».

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