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POTENZA – Soltanto pochi spiccioli? La metà di quest’anno? O appena una ventina d’euro in meno? La sentenza del Consiglio di Stato parla chiaro, ma non precisa cosa resterà nelle tasche dei patentati lucani. Tanto basta per provare a sminuirne la portata, in attesa che l’annuncio ufficiale della pioggia di denaro in arrivo dall’aumento delle estrazioni in Val d’Agri compensi la stizza per il “furto” subito.

E’ caos sui numeri della prossima erogazione del “bonus carburante” dopo la bocciatura del regolamento attuativo delle «Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia», approvate a luglio del 2009. In particolare la questione ruota attorno a quello dell’articolo dedicato all’«istituzione del fondo per la riduzione del prezzo, alla pompa, dei carburanti nelle regioni interessate dall’estrazione di idrocarburi liquidi e gassosi». Nella parte in cui prevede la ridistribuzione del 3% di royalties aggiuntive pagato al Ministero dalle compagnie a ciascuna regione «in proporzione alle relative produzioni di idrocarburi».

Per i giudici della quarta sezione di Palazzo Spada non è possibile «suddividere» le risorse del fondo come sostiene il Ministero «per attribuirvi diverse destinazioni, essendo esso unico e finalizzato integralmente (…)  al ristoro in favore delle popolazioni» dei territori dove si svolge, sì, «l’attività estrattiva di idrocarburi liquidi e gassosi», ma anche quella di rigassificazione. Grazie a una postilla inserita durante i lavori della commissione industria di Palazzo Madama da tre scaltri senatori leghisti, e approvata in aula con voto bipartisan. Inclusi i parlamentari lucani presenti. Prima che il disegno di legge appena modificato tornasse alla camera e due deputati del Pd, Antonio Luongo e Salvatore Margiotta, annusassero la puzza di bruciato.

«Dei soldi derivanti dalle royalties rivenienti dalle estrazioni petrolifere in Basilicata, regione nella quale si estrae la quantità di gran lunga maggiore di petrolio in Italia, beneficeranno, per lo sconto sulla benzina, anche i cittadini veneti, come sostenuto, tra gli altri, dai senatori della Lega Nord?». Questo il testo dell’interrogazione che Margiotta aveva rivolto al Ministero dello Sviluppo economico il 16 luglio del 2009, una settimana prima dell’approvazione definitiva della legge. Con tanto di sondaggio per capire se il Governo avesse «valutato appieno gli effetti che tale misura comporta per l’economia di alcune regioni svantaggiate, come la Basilicata», e non intendesse «viceversa individuare idonee soluzioni alternative». Purtroppo la risposta al deputato lucano sarebbe arrivata soltanto a “babbo morto”.

«Il beneficio rivolto ai residenti della regione Veneto, che annovera circa 2,9 milioni di auto immatricolate, rimarrebbe correlato alla scarsa percentuale di produzione» di idrocarburi. Intesa soltanto come attività estrattiva. Così il sottosegretario Stefano Saglia, vicino di stanza di Guido Viceconte, all’epoca a sua volta sottosegretario sempre allo Sviluppo economico. Una risposta tardiva e perdipiù sbagliata, visto quello che avrebbero stabilito i giudici amministrativi.

Per Francesca Quadri, il giudice estensore della sentenza di martedì scorso, «l’esclusione del riconoscimento dei benefici in favore delle regioni interessate non già da impianti estrattivi, ma da impianti di rigassificazione contrasterebbe sia con la ratio che con la lettera della legge». Quindi il concetto stesso di produzione di idrocarburi andrebbe esteso dal «bene» in sé ai «servizi» collegati, incluso il «trasporto» oltre alla rigassificazione. Ma in questo modo è chiaro che diventa impossibile utilizzare la produzione come criterio di redistribuzione, a meno di non riuscire a fissare un valore anche per il trasporto e la rigassificazione.

Per il Consiglio di Stato «tanto l’attività estrattiva di idrocarburi liquidi e gassosi quanto l’attività di rigassificazione sono destinate a soddisfare le necessità di approvvigionamento di energia a vantaggio dell’intera collettività, con la conseguenza che non appare irrazionale il riconoscimento del ristoro in favore delle popolazioni di entrambe le categorie». In più «non si ritiene, poi, di condividere la limitazione degli effetti del decreto (…) sol perché detta disposizione indica, quale criterio per la destinazione del fondo alle iniziative a favore dei residenti di ciascuna regione interessata, il calcolo del beneficio in proporzione alle “produzioni” ivi ottenute».

In conclusione: «la tesi secondo cui , per il principio di territorialità, le risorse ottenute dalla maggiorazione delle aliquote (di royalties, ndr) dal 7 al 10 per cento in ciascuna regione sarebbero sottoposte ad un vincolo di destinazione in favore dei residenti della medesima regione, oltre che non essere suffragata da alcuna disposizione» della legge approvata a luglio del 2009, «è smentita» anche da un’altra circostanza. Ossia che la norma «comunque applicabile rispetto alla percentuale del 7 per cento, non prevede alcun vincolo di destinazione delle risorse, per la parte versata allo Stato».  Perciò «similmente deve ritenersi non in contrasto con il principio di territorialità che un’ulteriore percentuale del 3 per cento sia destinata ad un fondo statale, sebbene utilizzato per agevolazioni in favore delle popolazioni di alcune soltanto delle regioni italiane, in ragione di particolari esigenze meritevoli di uno speciale beneficio».

Certo si può pensare di superare tutto questo  senza correggere la legge in questione, con un nuovo regolamento che ribadisca il principio di territorialità della quota aggiuntiva di royalties destinata alle card benzina. Ma questo punto rischia di essere soltanto una maniera per prendere tempo prima della prossima bocciatura in Tribunale.

l.amato@luedi.it

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