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POTENZA – Alcuni anni fa, in Facebook, scrissi una favola dal titolo “Candidopoli”. Narravo di una città che si riempiva di abitanti un anno prima di ogni elezione: gli abitanti di questa città erano coloro che intendevano candidarsi alle elezioni dell’anno successivo. L’idea scaturì dall’apprendere l’altissimo numero di candidati che si presentavano a quelle elezioni in Basilicata: il loro numero superava di molte migliaia il numero degli abitanti della maggior parte dei paesi lucani. In questa città arrivavano futuri candidati e, per un anno, dovevano organizzarsi per sopravvivere. Tra di loro incominciarono a chiedersi cosa sapevano fare: davvero in pochi, fino a quel momento, avevano un mestiere o una professione.

La maggior parte, invece, non aveva mai svolto alcuna professione e proveniva dalle segreterie dei partiti o dei sindacati. Dopo un paio di giorni, i candidati uomini incominciarono a notare la mancanza di donne e a chiedersi come avrebbero fatto a sopravvivere senza di loro per un periodo così lungo.

E così capirono la regola fondamentale che in una società evoluta la presenza delle donne è indispensabile in tutti i ruoli (Si può immaginare quanto possa essere deprimente anche nella realtà riunioni di partito e sale e tavoli di conferenze di soli uomini!). Interessante risultava il dialogo fra coloro che mai avevano lavorato e, comunque, furono costretti ad imparare un mestiere: chi divenne panettiere e chi fornaio, chi contadino e chi pastore, chi barbiere e chi calzolaio. Così, dopo un po’, questa città ricominciò a funzionare.  Dopo un anno i futuri candidati, candidi e puliti come la neve, erano pronti per essere votati dagli elettori.

Ho voluto riassumere questa favola non per parlare dei candidati, ma per fermare l’attenzione sugli elettori. Il valore dei voti non è uguale perché uguali non sono gli elettori. Poiché “Candidopoli” è solo il nome di una favola, i candidati nella realtà, non rappresentano, spesso, la parte migliore della società e, guarda caso, quelli peggiori sono supportati, quasi sempre, da un elettorato che non rappresenta la parte migliore della società. Oggi i candidati vengono inseriti nelle liste se portano con se un pacchetto di voti. Questo pacchetto di voti è costituito da cittadini che non scelgono liberamente chi votare, ma pongono la croce sulla scheda elettorale in base a ciò che gli viene detto in seguito a promesse di benefici, di posti di lavoro, di incarichi e di molte altre cose.

In una regione come la Basilicata costituita da soli 580.000 abitanti, è molto facile, specie per chi è abituato a farlo, conoscere già in partenza come verranno distribuiti i voti della popolazione votante.

 Davvero pochi sono coloro che votano perché si sentono ideologicamente vicini ad un partito o, semplicemente, gradiscono e stimano un candidato e lo votano con convinzione, stima e con la speranza che costui non deluderà le loro aspettative. Gli altri, e intendo quelli che sono indotti a votare senza possibilità di scelta, molto spesso votano e poi, dopo un minuto, usciti dal seggio elettorale, cominciano già ad imprecare contro chi hanno votato.

Tipico atteggiamento di chi ha necessità, di chi ha bisogno di aiuto, di chi è in difficoltà ma sceglie la via meno coraggiosa per risolvere i propri problemi.

In quella scontentezza l’elettore non libero maledice se stesso, disapprova la sua mancanza di coraggio e inveisce contro la persona votata, perché sa che non potrà mantenere le promesse fatte se non in rari casi. Anche coloro che appartengono a lobbies e votano in gruppo per un partito o per un candidato, cercando di mantenere i propri privilegi, al contempo, sono scontenti perché non hanno avuto la forza di votare il partito o il candidato che ritengono migliore.

Così questa scontentezza generale si va a consumare il peggiore dei drammi: anche i candidati vincitori che sono stati eletti con i voti dei cittadini – clientes, cittadini – non liberi, di cittadini lobbisti non riescono ad essere felici fino in fondo della vittoria ottenuta.

Non sono felici perché sanno che è un ingranaggio che li porterà a non governare con onestà, a dover fare scelte che andranno a beneficio solo di una piccola parte della società.

 Rarissimi sono i casi di candidati che vengono eletti da cittadini-liberi: sono mosche bianche, spesso messi in un angolo dagli stessi partiti, attaccati pesantemente da altri eletti perché rappresentano la coscienza sporca di tutti.

Mi chiedo a cosa serve sentirsi vincitori in casi del genere, Si è felici perché disonesti? Si è felici perché si può far del male ad una intera comunità? Si è felici per aver corrotto mettendo di spalle al muro cittadini in difficoltà? Immaginate invece quanto possa essere bello raggiungere la vittoria con voti che nascono dalla stima e dalla considerazione verso la persona o verso l’operato della stessa. E così, penso, che non solo i candidati ma anche gli elettori dovrebbero purificarsi e sentirsi liberi di scegliere da chi essere rappresentati. Solo con questo comportamento si può parlare di democrazia. Tutti gli altri comportamenti si definiscono tirannide, e gli eletti sono piccoli satrapi che, infelici, fingono di aver un reale potere, si comportano come divinità in terra consapevoli di non poter avere nessun altro comportamento poiché sanno di essere sgraditi agli occhi dei loro stessi elettori.

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