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POTENZA – Un primo tempo finito in vantaggio o un risultato tutt’altro che soddisfacente? Le opinioni rimangono ampiamente divergenti.

Ma al netto delle valutazioni, lo “Sblocco Italia”  rappresenta  il primo atto concreto  che la Regione incassa dopo la lunga partita che ha visto misurarsi Regione e Governo, la seconda dopo quella che portò agli accordi del ‘98.

Iniziata ormai quattro anni fa, quando, davanti a una strategia nazionale sempre più chiaramente orientata a puntare su un maggiore sfruttamento delle risorse fossili nostrane, la Basilicata comprende che le condizioni iniziali non sono più adeguate.

Non tutte le previsioni sottoscritte nella fine degli anni ‘90 (sancite in un’intesa considerato allora il migliore che si potesse ottenere per la Basilicata) hanno ancora trovato attuazione, ma il bilancio lucano dei primi dieci anni di estrazioni mostra tutte le contraddizioni di una ricchezza potenziale che non ha generato benessere sul territorio.

Se i vantaggi sono nettamente al di sotto delle attese, si complica la gestione delle conseguenze ambientali che le estrazioni comportato. A cui si aggiunge un’esponente crescita del fronte degli ambientalisti che chiede di mettere fine agli interessi dei petrolieri in una regione ormai gruviera.

Dal Memorandum in poi

Il mutato approccio al delicato tema delle estrazioni alimenta la consapevolezza: se petrolio deve essere gli accordi vanno rinegoziati.  Le buone intenzioni trovano sbocco del Memorandum che nell’aprile del 2011 viene sottoscritto a Potenza.  Sulla carta sembra essere una svolta per la Basilicata. Un altro approccio alle estrazioni, che riconosce al territorio, oltre alle royalty, nuove risorse provenienti da fiscalità di vantaggio. Finalizzate  a finanziare investimenti in infrastrutture, misure a favore dell’occupazione e della tutela ambientale ed energia verde. A sottoscrivere l’intesa, oltre all’allora presidente De Filippo e l’ex sottosegretario Viceconte, il Governo rappresentato in quell’occasione dal ministro della  Saglia.

L’instabilità politica dell’esecutivo nazionale però non aiuta la Basilicata. Nel frattempo cresce il fronte dei contrari alle estrazioni. E a settembre dell’anno successivo è il governatore De Filippo a portare avanti in Consiglio la proposta di una moratoria: no a nuove estrazioni, a eccezione di quelle già autorizzate.

La legge ottiene l’ok dell’Aula ma non trova lo stesso consenso del Memorandum. Ed è Vincenzo Folino, allora presidente del Consiglio, ad esprimere la critica più dura nei confronti di una strategia lucana che egli stesso definisce ambigua e schizofrenica. 

Seguono mesi in cui la Basilicata non fa che incassare sconfitta.

Prima la bocciatura da parte della Corte Costituzionale, dopo che la legge regionale viene impugnata dal Consiglio dei ministri. Poi il Veneto che “mette le mani” sul fondo destinato a finanziare la card idrocarburi a beneficio dei lucani. Infine, il decreto interministeriale del settembre del 2013, attuativo dell’articolo 16 del dl Liberalizzazioni (che in pratica recepisce le previsioni del Memorandum): quanto previsto in esso è molto lontano dalle aspettative lucane. E’ lo stesso De Filippo, che nel frattempo si è dimesso dalla carica di presidente della Giunta, a scrivere all’ex premier Letta esprimendo la completa insoddisfazione rispetto ai contenuti del decreto.

Insomma, quella del petrolio vede la regione sconfitta su molti fronti in una fase politico istituzionale molto delicata che non rafforza la sua posizione a Roma.  

Al nuovo presidente Pittella, eletto a novembre dell’anno scorso, il compito di riprendere le redini della questione. Sceglie di tenere per sé la delega al petrolio e sembra voler dare uno stampo personalistico alla soluzione del problema. Chiede sostegno a tutti parlamentari su quella che è una necessità condivisa da tutti:  royalty fuori dai vincoli del Patto di stabilità interno. Ma la strategia che manda avanti porta la sua evidente impronta. Il 20 giugno annuncia lo sforamento del Patto che a luglio diventa legge regionale. Nel frattempo apre il tavolo delle trattative romane, che a giugno portano il ministro Guidi in Basilicata.

Cosa prevede lo Sblocca Italia

Quella che segue è storia recentissima: il Cdm impugna la legge regionale. Nel frattempo la bozza di decreto “Sblocca Italia” varato dal Consiglio dei ministri sembra essere l’ennesimo atto ufficiale che mortifica le richieste dei lucani. E’ lo stesso presidente Pittella a dirsi insoddisfatto. Fino al decreto ufficiale, firmato venerdì scorso, dal presidente Napolitano che dovrà essere convertito in legge. Quello che Pittella saluta come l’1-0 della Basilicata. Anche se la partita – aggiunge lui – è ancora tutta da giocare. Ma per ora Pittella canta vittoria. Cosa è cambiato rispetto alla bozza? Il dl  oltre a “liberare” le royalty sulle produzioni di petrolio aggiuntive (ma già autorizzate), rispetto a quelle attuali, dal 2015 fino al 2018 (e non più fino al 2017), “autorizza” la Regione a spendere nell’anno in corso 50 milioni di euro per il pagamenti dei debiti. Riconoscendo di fatto, per la prima volta, il principio per il quale le royalty vanno tenute fuori dal Patto di stabilità.

Ma per comprendere quale sarà la reale portata economica di quanto previsto dall’articolo 36 per i prossimi anni bisognerà attendere. 

Il dl, infatti, rimanda al successivo decreto interministeriale per l’individuazione della quantità di royalty che potrà essere spesa per investimenti in occupazione, sviluppo industriale, attività economiche e miglioramento ambientale. Il vero “punto debole” del decreto rimane quell’articolo 38 che toglie alle Regioni la competenza in materia ambientale. O meglio, le procedure di Via (valutazione di impatto ambientale) relative a prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi dovranno essere concluse entro il 2014. Poi definitivamente spostate a Roma.

Per quanto riguarda il titolo concessorio unico, esso è accordato alle compagnie con decreto del Ministero, d’intesa con le Regioni, ma solo per quanto riguarda le attività su terraferma.

Per quanto riguarda le attività in mare, invece, il decreto prevede che il ministero debba limitarsi a “sentire” la Regione. Si tratta comunque di una serie di semplificazioni autorizzative a vantaggio delle compagnie petrolifere e limitative delle competenze delle amministrazioni locali che rappresentano una sorta di anticipazione delle modifiche che si vogliono apportare alla titolo V della Costituzione in fatto di materie concorrenti.

La Regione sembra voler andar avanti sulla volontà già annunciata: impugnare per incostituzionalità l’articolo del decreto nella parte che riguarda le estrazioni in mare.

Mossa che però a questo punto forse servirebbe solo a prender tempo. Data la chiara volontà politica palesata ormai da anni e condivisa dai diversi governi che si sono alternati in questi anni di voler accentrare le competenze in materia energetica.

Rimane ancora in piedi la possibilità di un decreto ministeriale attuativo del Memorandum più vantaggioso per i lucani rispetto a quello dell’anno scorso. Sul Dl Pittella insiste: «Il resto del risultato lo otterremo in sede di conversione in legge». Passa la palla ai parlamentari e richiama tutti a fare squadra.   Ma per ora il petrolio, più che unire, divide. E la partita si complica.

m.labanca@luedi.it

 

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