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Il campo di Boreano (Venosa) dopo un incendio

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Delegazioni da tutto il Sud chiamate a raccolta dall’Usb. Il 2 ottobre chiuderà il centro di accoglienza: «Dove andranno i lavoratori?». La richiesta di alloggi agevolati

VENOSA (PZ) – Erano in tanti ieri pomeriggio all’ex Convento di San Domenico a Venosa. Presenti, oltre che ai braccianti lucani, le delegazioni pugliesi, campane e calabresi. Ma pesavano, in questo contesto, anche le assenze, come denunciato dal palco. Assenti all’assemblea nazionale dei lavoratori agricoli, infatti, il presidente della Regione, Marcello Pittella, e sindaco di Venosa, Tommaso Gammone. Erano stati inviati ai lavori – denunciano gli organizzatori dell’Unione sindacale di base – ma si sono mostrati lontani dai problemi dei braccianti.

Eppure i problemi ci sono e sono anche imminenti: il prossimo 2 ottobre verrà chiuso il campo di accoglienza di Venosa. «E questo costituisce un grave problema – come spiegato da Kassoum – dove andranno a quel punto i lavoratori che restano qui? Noi abbiamo scelto di restare qui a Venosa per lavorare, ma chiediamo al sindaco di fare di più per tutti». 

Il Comune di Venosa, in realtà, ha introdotto la cosiddetta “residenza virtuale”, ma «tutto questo non è sufficiente per ottenere una giusta paga e tutti i contributi che servono per la nostra pensione. Il Comune dovrebbe fare molto di più per l’integrazione dei braccianti con i cittadini e reperire alloggi agevolati che riguardano tutti i bisognosi. Le nostre lotte hanno ottenuto dei risultati, come appunto la deliberazione sulla residenza e il servizio navetta, ma molto ancora c’è da fare».

Ed è un problema che riguarda tutti. I prodotti che arrivano sulle nostre tavole dai campi di raccolta, passando per i banchi dei supermercati o mercati rionali, nascondono una filiera organizzata a partire dalla fatica di uomini e donne sottoposti a ritmi e livelli di lavoro spesso basato su sfruttamento e nuove forme di schiavitù. Per l’Usb, quindi, «i braccianti rappresentano strutturalmente la categoria più colpita dalla vulnerabilità sociale che caratterizza la grande filiera dello sfruttamento organizzato. Nei casi più gravi i lavoratori e le lavoratrici, spesso immigrati, sono costretti a vivere in veri e propri ghetti, ma anche in condizioni di vita meno emergenziali troppo spesso i braccianti agricoli lavorano senza diritti sindacali e sociali a partire dal salario. È partendo da questo processo di sottrazione di diritti verificata sul campo – che accomuna tutta Italia da nord a sud, da est ad ovest – che abbiamo organizzato questo primo appuntamento assembleare».

L’obiettivo è arrivare a una lotta comune e organizzata dei braccianti per i diritti sindacali e sociali, per mettere in evidenza le contraddizioni nella grande filiera dello sfruttamento del lavoro. «Si tratta di un percorso alternativo alla campagna per la “legalità” portata avanti da governo, alcuni sindacati, associazioni datoriali di categoria e organizzazioni del terzo settore in nome di una finta lotta al caporalato. portata avanti da governo, alcuni sindacati, associazioni datoriali di categoria e organizzazioni del terzo settore in nome di una finta lotta al caporalato e per la “legalità”. Con la loro strategia invece di colpire i datori di lavoro, che utilizzano i braccianti sottoponendoli a condizioni lavorative arcaiche senza rispettare i contratti di lavoro che pure sono siglati dalle loro organizzazioni di categoria, colpiscono l’organizzazione dei braccianti, senza intaccare minimamente il caporalato rappresentato dalla grande filiera dello sfruttamento organizzato».

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