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Le stime del sovrannumero: tra 60mila e 130mila capi. Alla base c’è il ripopolamento senza controllo a fini venatori

POTENZA – Se da Coldiretti il direttore Aldo Mattia parla di circa 130mila ungulati in una regione come la Basilicata che ne può sostenere meno della sesta parte (circa 20mila, nel 2017 ne sono stati abbattuti meno di 10mila), i numeri forniti qualche mese fa al nostro giornale da Nicola Figliuolo, dirigente della Cia lucana, riportava «la stima realistica sui 60-70.000 capi. Peraltro – avvertiva –, è una specie che si riproduce a ritmi esponenziali».

Sempre dalla Confederazione italiana degli agricoltori della Basilicata, il direttore Donato Distefano ha spiegato che «c’è stato, negli anni scorsi, un ripopolamento senza controllo a fini venatori. E’ stato immesso sul territorio un quantitativo esagerato di capi. Nel corso del tempo, la popolazione è andata fuori controllo. Il cinghiale qui trova un habitat ideale per riprodursi. La macchia è adattissima. E poi oltre il 30 per cento del territorio è in aree parco, dove non si può cacciare».

Anche per fronteggiare il problema e trasformarlo in un certo senso in risorsa, la stessa Cia nei mesi scorsi ha promosso la nascita di un’azienda che compra dai “cacciatori formati” (in Basilicata se ne stimano sui 4-500) le carcasse dei cinghiali abbattuti – rispettando una serie di prescrizioni sanitarie dettate dalla legge – e le vende alle aziende che ne trasformano le carni in prodotti per la distribuzione. E’ così che il capo abbattuto diventa «tracciato»: ognuno avrà una fascetta identificativa e registrata dall’Atc (Ambito territoriale di caccia), tutti di dati sono poi riportati su un foglio consegnato al macello.

Insomma, i cinghiali saranno cacciati, abbattuti, visitati e macellati in Basilicata, poi trasformati fuori. In attesa che anche qui nasca un’industria del settore.

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