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POTENZA – Quando è arrivata da Villa d’Agri al San Carlo di Potenza il battito del piccolo che portava in grembo si era spento. Ma anche il suo organismo aveva già iniziato a reagire al senso di quella morte prematura, così nemmeno una quindicina di trasfusioni è riuscita a salvarla dagli effetti di una serie di terribili emorragie.

E’ una tragedia immane quella che ha colpito, ieri mattina, una giovane famiglia del centro della Val d’Agri.

Ad abbandonare il marito e un altro figlio di due anni è stata una giovane madre, Sandra Masino, di 37 anni, figlia del titolare di una nota concessionaria d’auto.

Tutto è iniziato verso le 20:30 di domenica sera quando Masino si è presentata, accompagnata dal marito e dalla madre, al pronto soccorso del San Carlo di Potenza.

Agli operatori che l’hanno accolta, la donna, in pieno travaglio, avrebbe spiegato di aver iniziato ad avvertire dei dolorini in mattinata, senza dar loro troppo peso. A convincerla partire per Potenza, invece, sarebbe stata l’insistenza del marito, operaio dell’indotto dell’Eni di Viggiano, molto conosciuto a Villa d’Agri in quanto figlio di uno stimato professore di scuola secondaria.

Costatata l’assenza di battito del piccolo, i medici del San Carlo avrebbero portato la madre rapidamente in sala parto. Ma al suo arrivo il collo dell’utero sarebbe stato già dilatato per questo avrebbero abbandonato l’idea di un cesareo d’emergenza, lasciando che il feto senza vita (stando a una ricognizione visiva effettuata pare da almeno 12 ore, ndr) venisse alla luce naturalmente.

Subito dopo è iniziata la lotta per provare a salvare la donna, affetta da sanguinamenti diffusi a causa del crollo dei fattori di coagulazione presenti nel suo organismo. La più temibile delle complicazioni che possono colpire una madre dopo la morte endouterina del feto.

Accertata la gravità della situazione, verso le 23, i sanitari (attorno al letto operatorio si sarebbe avvicendata una decina di persone tra ginecologi e anestesisti più ostetriche e infermieri) avrebbero deciso di procedere con l’asportazione dell’utero per eliminare una delle principali fonti emorragiche. Eppure non è bastato. Come non sarebbero bastate le 11 sacche di sangue trasfuse assieme ad altre 4 sacche di plasma e una serie di sostanze coagulanti, che il corpo della donna avrebbe assorbito in un lasso brevissimo di tempo, riprendendo a sanguinare subito dopo. Così verso le 2 di notte la donna, che nel frattempo sarebbe stata colpita anche da tre arresti cardiaci in sequenza, è stata trasportata in terapia intensiva per un tentativo di rianimazione in extremis. Infine, alle 7 del mattino, è stata comunicata al marito e alla madre la notizia dell’avvenuto decesso.

Sul caso, in assenza di una querela da parte dei familiari della 37enne, non risulta ancora aperta formalmente un’inchiesta.

Non è escluso, tuttavia, che nelle prossime ore la Procura della Repubblica possa decidere di avviare delle verifiche anche d’ufficio per vagliare eventuali responsabilità per l’accaduto.

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