X
<
>

Condividi:
4 minuti per la lettura

di LEO AMATO

POTENZA – Il figlio che accusa il padre seduto a meno di due metri da lui, in gabbia, nascosto da un sottile divisorio di carta. Racconta quando rientrò a casa con la mano rotta, e gli disse di aver picchiato due dipendenti di una ditta sotto “protezione”. I messaggi portati dentro e fuori il carcere. Il pizzo sulle pulizie in ospedale e le attività gestite dai prestanome. Più amici e complici nei suoi loschi affari incluso il gancio con la ‘ndrangheta di Crotone. Ma anche la preoccupazione del genitore per le sue esperienze con la droga, che le difese intendono utilizzare per screditarlo.
E’ la scena che si è svolta ieri mattina a Potenza davanti ai giudici del processo Iena2, dove è comparso il superteste dell’accusa contro il clan Martorano.
Il 33enne Natale Stefanutti ha spiegato gli affari criminali del padre, l’ex boxeur potentino Dorino Stefanutti, con Renato Martorano, collegato in videoconferenza dal 41bis. Ha parlato dei loro rapporti con la ditta dell’imprenditore napoletano Massimo Alemagna, che gestisce le pulizie all’ospedale San Carlo di Potenza, e degli altri che gli avevano portato soldi durante i periodi di detenzione del padre: «Pio Albano e Domenico Potenza». Oltre al «factotum» della ditta di Alemagna, Giovanni Tancredi.
«Mi ha portato 20mila a Natale, 20mila a Pasqua e 20mila a ferragosto». Ha precisato Stefanutti junior, ricordando che prima del blitz dell’inchiesta Iena2 (nel 2004) la tariffa concordata per la protezione era di «80mila» l’anno.
Rispondendo alle domande del pm Francesco Basentini ha ricordato l’«intervento» del padre per un altro degli imprenditori vicini del clan, e in particolare di Renato Martorano.
«Vito Zaccagnino non voleva pagare due dipendenti e chiese un intervento. Quella sera mio padre tornò a casa con le nocche della mano destra aperte e gli chiesi cosa era successo».
Stefanutti ha svelato anche l’identità del sindacalista “amico” del padre che in qualche occasione avrebbe fatto più gli interessi dell’azienda di Alemagna che dei lavoratori ricevendo in cambio non meglio precisati «regali».
«Ricordo che una volta, prima del 2013, (…) chiesero un aiuto a mio padre Giovanni Tancredi e Rocco Della Luna perché un dipendente dava fastidio (segretario generale Uiltucs Basilicata, ndr) (…) Donato Lorusso lo portò a casa e alla mia presenza mio padre gli segnò la gamba con un coltello da cucina».
Poi ha parlato di una truffa da 5/600mila euro organizzata dal padre e Martorano con la complicità di un “prestanome”, «Vito Tirone», e altri: «Maurizio Finti, Domenico Potenza, Teo Copertino, Aldo Fanizzi e Michele “il rosso”, che aveva un solarium in viale Dante».
Col bottino di truffe ed estorsioni il presunto clan sarebbe entrato nella gestione di diverse attività commerciali, come il ristorante ai Piani del Mattino, nella periferia di Potenza, di «Massimo Masiero», la gioielleria di «Gerardo Di Nuzzo», la discoteca di «Vito Mariano» a Baragiano e persino il bingo aperto anni orsono nel capoluogo «in società con Massimo Alemagna».
Stefanutti ha confermato i rapporti del padre col gruppo melfitano capeggiato dai fratelli Angelo e Vincenzo Di Muro, aggiungendo che quest’ultimo di recente stava organizzando una rapina alla Ronda col potentino Donato Lorusso.
Rispondendo all’avvocato di Martorano, Enzo Falotico, sulla formula consegnata ai pm all’inizio della sua collaborazione, Stefanutti ha negato di aver mai assistito ad affiliazioni. Ma ha aggiunto di averla presa lui stesso dal padre in carcere, per darla a Lorusso. Questi poi gli avrebbe confidato che si trattata della formula da recitare per l’ingresso nel clan Grande Aracri di Cutro, in provincia di Crotone e che aveva avuto mandato di avvicinare alcune persone per allargare i ranghi del gruppo.
Dura la polemica esplosa, sul finire del suo controesame, tra il pm e la difesa dell’imprenditore Vito Zaccagnino, l’avvocato Mario Marinelli, che ha chiesto con insistenza al giovane Stefanutti delle sue esperienze con la droga, e di una sua eventuale «tossicodipendenza».
«I rapporti con mio padre sono sempre stati buoni. Ma quando ha scoperto che avevo fatto uso di droga ci è rimasto male e si è preoccupato come farebbe ogni genitore. Per lui la droga non è mai stata una cosa ammissibile. Per questo mi chiese di vedere un centro di recupero».
Impassibile fino all’ultimo è stata proprio quest’ultima frase a far scattare Dorino Stefanutti che si è alzato per chiedere ai giudici un confronto col figlio.
L’udienza è stata rinviata al 7 novembre per sentire gli ultimi testi dell’accusa, i pentiti Antonio Cossidente e Alessandro D’Amato.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE