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Marcello Pittella, governatore della Basilicata sospeso dallo scorso luglio

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Critiche al Tribunale del Riesame sulle omissioni che confermarono l’arresto. I sostenitori del presidente esultano dopo le motivazioni sul ricorso

POTENZA – Il Riesame non poteva fare un richiamo integrale alle motivazioni sull’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico del governatore Marcello Pittella, contenute nell’ordinanza del gip di Matera che il 6 luglio ne dispose gli arresti domiciliari, senza un’autonoma valutazione degli stessi indizi e delle obiezioni difensive a riguardo.
Lo sottolinea la quinta sezione penale della Cassazione, spiegando perchè, il 26 novembre scorso, ha accolto il ricorso presentato dai legali del governatore, i professori Franco Coppi e Donatello Cimadomo, disponendo il rinvio al Tribunale del riesame di Potenza delle accuse sui concorsi truccati nella sanità, per cui Pittella resta comunque tuttora sottoposto a divieto di dimora nel capoluogo e sospeso dall’incarico per effetto della legge Severino.
La decisione della Cassazione è stata depositata ieri mattina, in tempi da record, bruciando tutte le più rosee previsioni (in media occorrono da uno a tre mesi). Persino quelle dei difensori di Pittella che da giorni stavano valutando se proporre un’istanza al gip di Matera chiedendo la revoca “al buio” del divieto di dimora per permettergli di tornare alla guida della Regione per Natale. Entro una decina di giorni, quindi, dovrebbe essere fissata la nuova udienza al Riesame. Poi i magistrati avranno un mese per emettere un nuovo verdetto prima della decadenza automatica della misura cautelare.
La Cassazione non è scesa più di tanto nel merito delle accuse, altrimenti avrebbe potuto annullare senza rinvio l’ordinanza del Riesame. Ma ne ha censurato in via generale il contenuto, perché non avrebbe «assolto all’obbligo motivazionale», accogliendo i rilievi difensivi sul carattere «meramente congetturale» di una serie di affermazioni, le «generiche letture “probabilistiche” del ruolo di Pittella» e alcune «erronee valutazioni in diritto quanto agli elementi costituitivi dei reati contestati».
Nello specifico, gli ermellini del Palazzaccio di Trastevere, hanno condiviso l’argomento più forte della difesa sulle varie contraddizioni presenti all’interno dell’ordinanza, laddove si afferma il ruolo preminente del governatore nella «galassia del malaffare e del clientelismo» scoperta all’interno della sanità lucana, per poi sostenere, sulla base di una serie di intercettazioni tra gli altri indagati, che «non è certo che egli riuscisse sempre a gestire in modo autonomo ed esclusivo le assunzioni» materialmente pilotate dall’ex commissario e dall’ex direttore amministrativo dell’Asm, Pietro Quinto e Maria Benedetto.
Tanto, in particolare, rispetto al primo dei tre capi d’imputazione rivolti al governatore: quello per istigazione all’abuso d’ufficio legato a un concorso per dirigente amministrativo le cui tracce d’esame sarebbero state “veicolate” ad alcuni concorrenti raccomandati.
«Aldilà di affermazioni variamente aggettivate sulla valenza indiziante delle conversazioni intercettate – è scritto nella sentenza depositata ieri -, manca nell’ordinanza impugnata ogni concreto riferimento a elementi e circostanze desunte dalle stesse conversazioni, che consenta di cogliere unitariamente i motivi per cui esse siano state ritenute quali significativo supporto del quadro indiziario a carico del Pittella».
In altri termini mancherebbe la spiegazione di come l’ «influenza» del governatore si sia concretizzata nel passaggio delle tracce d’esame, dopo una riunione in Regione con due dei commissari di gara, e sui rapporti tra il governatore e i presunti raccomandati. «Coglie dunque nel segno – scrivono ancora i giudici – la censura del ricorrente, il quale si duole del fatto che non siano stati sufficientemente esplicitati, con valutazione autonoma e in risposta alle specifiche deduzioni difensive, i caratteri di gravità, precisione e concordanza richiesti (…) degli elementi di fatto meramente elencati dal Tribunale in maniera frammentaria e con uso di una tecnica redazionale spesso segnata da superflui giudizi di carattere moralistico».
Sugli altri due capi d’imputazione contestati a Pittella, quelli per istigazione all’abuso d’ufficio e al falso in relazione alla selezione per 8 funzionari amministrativi della categoria protetta, la Cassazione reitera la censura al ragionamento del Riesame, privo, da una parte, del sostegno motivazionale dell’ordinanza del gip, perché inutilizzabile, e dall’altra degli ulteriori elementi raccolti dagli inquirenti ma non menzionati, forse perché ritenuti superflui dallo stesso Riesame, come le ammissioni rese da alcuni degli indagati durante gli interrogatori di garanzia, e la “lista verde” dei raccomandati scoperta nell’archivio di una dipendente Asm durante le perquisizioni (riferita a una selezione successiva).
Pertanto viene criticata l’adozione di «criteri assertivamente probabilistici, come quello dell’attribuzione al Pittella della cosiddetta “lista verde” dei raccomandati, oppure quello di un incontro avvenuto (in data 13 maggio 2017) presso l’abitazione dello stesso Pittella, durante il quale questi “con ogni probabilità, veniva informato dalla Benedetto proprio della insufficienza delle votazioni riportate dai candidati della cosiddetta lista verde». Di modo che per gli ermellini risulta incomprensibile il riferimento ai «correttivi» da apportare di cui parla Benedetto in un’intercettazione telefonica all’uscita da villa Pittella, poco prima di tornare in ufficio e rimettere mano alla graduatoria della selezione “incriminata” su cui stava lavorando.
Il Riesame di Potenza «non ha individuato – continuano i giudici del “Palazzaccio” – elementi indiziari dai quali desumere che Pittella abbia fatto sorgere, ovvero rafforzato, il proposito criminoso nei coindagati», responsabili materiali del taroccamento dei concorsi. Quanto all’ipotesi del concorso morale, viene ricordato che «la partecipazione psichica a mezzo istigazione richiede che sia provato che il comportamento tenuto dal concorrente morale abbia effettivamente fatto sorgere il proposito criminale» o la abbia anche soltanto rafforzato, ma «la mera “raccomandazione” o “segnalazione” non costituisce una forma di concorso morale nel reato, in assenza di ulteriori comportamenti positivi o coattivi che abbiamo efficacia determinante», in quanto il “soggetto attivo” è libero di aderire o meno alla segnalazione.
La Cassazione si è soffermata anche sulle esigenze cautelari evidenziate dai magistrati potentini, per cui sarebbe opportuno che il governatore resti sottoposto al divieto di dimora.
A riguardo la motivazione del Riesame sarebbe inadeguata, sotto il profilo del pericolo di inquinamento probatorio, perchè «risulta generica e caratterizzata da una serie di giudizi su “perduranti collegamenti politici” di Pittella, mentre il pericolo per l’acquisizione o la genuinità della prova deve essere identificato in tutte quelle situazioni dalle quali sia possibile desumere che l’indagato possa realmente turbare il processo formativo della prova, ostacolandone la ricerca o inquinando le relative fonti».
Mentre sul punto del pericolo di reiterazione dei reati si parla della «possibile assunzione di nuovi incarichi da parte di Pittella nel partito di appartenenza o all’inserimento in ambienti amministrativi». Sebbene «la circostanza che l’indagato possa contare su nuovi incarichi nel partito o in settori “comunque di influenza che gli darebbero rinnovate occasioni di inserirsi, seppure in modo indiretto, in ambienti amministrativi con potenzialita” significative di distorsione dei pubblici apparati” – per i giudici della Cassazione – risulta allo stato meramente eventuale e ipotetica, nonchè basata su argomentazioni generaliste in ordine all’esercizio illecito di pubbliche funzioni».
La Corte presieduta da Grazia Miccoli, che è anche l’estensore della sentenza, ha dichiarato fondato, infine, l’ultimo motivo di ricorso, che però non era rivolto soltanto al Riesame, sempre per non aver risposto alle doglianze delle difese sul tema, ma all’ordinanza “originale” del gip di di Matera, Rosa Nettis. Per aver ancorato il rischio che Pittella commetta altri reati dello stesso tipo di quelli per cui è indagato alla sua probabile ricandidatura come governatore.
«Si tratta, con evidenza – conclude la Corte -, di uno sconfinamento dei parametri legali che, imponendo al giudice una valutazione prognostica sfavorevole sul pericolo di reiterazione di delitti della stessa specie di quelli per cui si procede, non possono spingersi fino alla possibilità di ritenere adeguata una misura cautelare per comprimere l’esercizio del diritto costituzionale di elettorato passivo».

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