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POTENZA – Sono 4 i ginecologi del San Carlo di Potenza indagati per la morte, lunedì mattina al San Carlo, della 37enne Sandra Masino, di Villa d’Agri e del piccolo che portava in grembo (LEGGI LA NOTIZIA).
Ieri pomeriggio i carabinieri della sezione di polizia giudiziaria dei carabinieri di stanza nel Palazzo di giustizia del capoluogo hanno notificato all’equipe, guidata dal capo dipartimento di Ostetricia e ginecologia dell’azienda ospedaliera regionale, Sergio Schettini, un avviso di garanzia con l’invito a nominare un loro consulente per assistere all’autopsia sulle salme.
Oggi stesso, infatti, è previsto l’affidamento dell’incarico al consulente scelto dal pm titolare dell’inchiesta, Ersilio Capone. L’esame vero e proprio, però, è previsto per domani. Quindi i due corpi verranno restituiti ai familiari per i funerali, inizialmente previsti per martedì e poi rinviati a data da definirsi dopo il loro sequestro da parte dell’autorità giudiziaria.
Nell’avviso a firma del pm si evidenzia che l’ipotesi per cui si procede è di omicidio colposo, ma non sarebbero esplicitate le condotte contestate. Il fatto che le iscrizioni sul registro degli indagati siano state limitate ai ginecologi, tuttavia, fa pensare i dubbi ruotino attorno alla scelta di non praticare un taglio cesareo d’emergenza per estrarre il feto dal corpo della madre, dopo la scoperta che il cuore del piccolo non batteva più. Attorno alla donna infatti, dall’arrivo al pronto soccorso del nosocomio lucano alla constatazione del decesso, sono stati almeno una decina gli operatori che si sono impegnati per provare a salvare almeno la sua vita (inclusi infermieri, ostetriche e anestesisti, che hanno seguita anche nell’ultimo viaggio dalla sala operatoria del dipartimento materno infantile alla terapia intensiva).
La decisione di avviare delle verifiche sull’accaduto era arrivata a 24 ore dal decesso d’iniziativa del pm, in assenza di una denuncia dei familiari della donna, originaria di Paterno e figlia del titolare di una nota concessionaria d’auto.
La tragedia di Sandra e del suo piccolo sarebbe iniziata domenica notte, quando è arrivata da Villa d’Agri al San Carlo di Potenza e gli operatori del pronto soccorso si sono accorti dell’assenza di segnali di vita nel grembo della donna. A quel punto, infatti, anche il suo organismo aveva già iniziato a reagire alla presenza di quel corpicino senza vita (stando a una ricognizione visiva effettuata pare da almeno 12 ore, ndr), aumentando in maniera esponenziale il consumo di sostanze per la coagulazione sanguigna. La più temibile delle complicazioni che possono colpire una madre dopo la morte endouterina del feto. Così nemmeno una quindicina di trasfusioni è riuscita a salvarla dagli effetti di una serie di emorragie diventate incontenibili.
A chi l’aveva accolta domenica sera, la donna, in pieno travaglio, avrebbe spiegato di aver iniziato ad avvertire dei dolorini in mattinata, senza dar loro troppo peso. A convincerla partire per Potenza, quindi, sarebbe stato il compagno, operaio dell’indotto dell’Eni di Viggiano, molto conosciuto a Villa d’Agri in quanto figlio di uno stimato professore di scuola secondaria, che ora è rimasto solo con un figlio avuto con lei due anni fa, quando pure le sarebbero occorsero diverse trasfusioni per riprendersi dai sanguinamenti durante il parto.
La scelta di non praticare il cesareo, quindi, sarebbe stata dovuta al fatto che al suo arrivo in sala parto il collo dell’utero sarebbe stato già dilatato.
All’indomani della tragedia sul caso si era espresso anche il direttore generale del San Carlo Massimo Barresi, spiegando che sarebbe stato fatto tutto il possibile per provare a scongiurare quanto accaduto.
Ieri sull’episodio c’è stato anche un confronto interno tra i vari operatori dell’azienda ospedaliera regionale intervenuti da cui sarebbe emerso il rispetto di tutti i protocolli esistenti per la gestione di emergenze di questo tipo.

l. a.

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