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Banca Popolare di Bari

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ROMA – «E’ irrilevante l’assenza di una richiesta cautelare del pubblico ministero finalizzata al sequestro» delle risorse della Banca Popolare di Bari nell’ambito del secondo procedimento sulla gestione dell’istituto di credito barese che ha nel mirino le cosiddette “operazioni baciate”, dato che la stessa banca – finita in un crac da 2 miliardi di euro – potrebbe aver tratto «profitto» dalle “condotte illecite» dei suoi amministratori e non può essere considerata «terzo “estraneo” al reato». Per questa ragione, la Cassazione esorta il Tribunale del riesame di Bari a cercare se Pop. Bari abbia, tra le sue dotazioni, dei contratti finanziari da mettere sotto sequestro, in quanto «beni strumentali» alla commissione dei reati contestati ai tre dirigenti bancari indagati in questo filone.

Oltre alle somme già sequestrate sui conti dell’ex condirettore della banca, Gianluca Jacobini, che ha fatto ricorso agli “ermellini” per riavere i suoi beni diversi da conti e denaro.

Con Gianluca Jacobini, figlio del patron della banca barese, Marco Jacobini – entrambi imputati nel processo principale sul default in corso a Bitonto – nel processo “secondario” sono stati rinviati a giudizio per ostacolo alla vigilanza e false comunicazioni sociali, altri due manager.

Si tratta di Giuseppe Marella e Nicola Loperfido, rispettivamente ex responsabili dell’Internal Audit e della Direzione Business. Anche a Loperfido sono stati messi sotto sequestro conti e beni fino a quasi 5 mln di euro, mentre Marella ha beni sotto sequestro fino al valore di poco più di 6 mln di euro.
Imputata anche la banca in base alla legge sulla responsabilità amministrativa degli enti. L’udienza preliminare è fissata al 30 marzo.

Nei confronti di Gianluca Jacobini – ha deciso la Cassazione nella sentenza 6391 depositata ieri, udienza a porte chiuse del 4 febbraio – resta in vigore il sequestro dei conti e dei depositi (la cui entità non è nota), mentre è stato annullato con rinvio «il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente» dei suoi beni mobili ed immobili fino a raggiungere il valore di circa 5 mln di euro, pari al valore dei contratti finanziari a lui contestati.

In tema di “operazioni baciate”, gli “ermellini” sottolineano che sono confiscabili «i finanziamenti concessi da un istituto di credito a terzi per l’acquisto di azioni ed obbligazioni dello stesso istituto, finalizzati a rappresentare una realtà economica del patrimonio di vigilanza dell’ente creditizio diversa da quella effettiva, con ostacolo delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza». Adesso il Tribunale del riesame – afferma la Cassazione – «non potrà esimersi dal motivare specificatamente perché quei beni strumentali se non reperiti presso l’indagato non possano trovarsi presso altri», dunque presso Pop.Bari.

Quanto all’assenza della richiesta di sequestro da parte del pm nei confronti della banca, la Cassazione spiega che «il regime di operatività del sequestro preventivo penale e la connessa possibilità di vincolare “in via diretta” beni strumentali presenti nel patrimonio della persona giuridica sono del tutto slegati da una eventuale richiesta cautelare», ai sensi della legge 231/2001 sulla responsabilità degli enti. Così la Cassazione ha invitato il riesame di Bari a cercare quanto più possibile nella pancia della banca risorse aggredibili dal sequestro, e a rivedere l’ordinanza emessa il 29 maggio 2020.

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