X
<
>

Piero Amara

Condividi:
4 minuti per la lettura

POTENZA – La sua nomina come consulente legale all’Ilva? Frutto della confidenza con l’allora procuratore capo di Taranto ostentata davanti all’ex commissario dell’acciaieria. «Così funzionava» e sarebbe funzionato, a parti invertite, anche «a Potenza», dove in gioco c’era il processo per traffico di rifiuti a carico di Eni e alcuni dei suoi dirigenti locali.

C’è anche questo tra le rivelazioni dell’avvocato siciliano Piero Amara trascritte nel verbale dell’interrogatorio di garanzia effettuato lo scorso 10 giugno nel carcere del capoluogo lucano. Il giorno dopo l’arresto nell’ambito dell’inchiesta sulla gestione delle indagini sull’Ilva da parte dell’ex procuratore di Taranto, Carlo Maria Capristo. Indagini che a detta degli inquirenti lucani sarebbero state svendute in cambio della sponsorizzazione offerta allo stesso Capristo, al Csm, per la sua nomina alla guida dei pm della città dei due mari.

Amara, che da martedì è tornato nella sua casa romana per effetto dell’ampia collaborazione offerta ai pm potentini, ha fatto più di un accenno al processo che lo ha visto protagonista nel capoluogo lucano come difensore dell’Eni. Fino a febbraio del 2018, s’intende, quando la sua carriera da avvocato di grido si è fermata per l’arresto con l’accusa di aver comprato alcune sentenze in Consiglio di Stato, e nel giro di qualche mese si è trasformato nel principale accusatore sui traffici all’ombra delle aule di giustizia di mezza Italia.

In un passaggio, in particolare, il legale siciliano spiega di essersi interessato delle vicende dell’Ilva per fare un favore a uno dei capi dell’ufficio legale dell’Eni, che era quello che gli dava «da mangiare, ed era anche «molto amico» di Nicola Nicoletti, un consulente dell’acciaieria. Per questo avrebbe organizzato un paio di cene nella sua casa romana col procuratore di Taranto, Capristo, a cui Nicoletti portò l’ex commissario dell’Ilva. Ma il risultato ottenuto, mettendo di fronte accusato e accusatore, sarebbe stato tale da valergli un incarico legale.

«Nicoletti organizza l’incontro e mi nomina perché mi vede in buona confidenza con Capristo, e all’epoca così funzionava, procuratore». Queste le parole di Amara, rivolto al capo dei pm potentini, Francesco Curcio.

«Cioè molto spesso noi si cerca… anche io l’ho fatto a Potenza… cercavo di nominare, che so? Persone che erano vicine perché testimoni di nozze, matrimoni, che… a qualche magistrato. Questo poi non significa che automaticamente… Anzi, ci sono state delle situazioni in cui magari è stato più facile interloquire con dei magistrati; situazioni in cui non è stato possibile nel modo più assoluto. Però, le dico la verità, uno dei criteri in virtù dei quali , soprattutto le multinazionali, scelgono a livello locale, a volte, gli avvocati, è anche questo».

Nel verbale dell’interrogatorio di garanzia, a cui sono seguiti altri due colloqui investigativi coi pm di contenuto segretato, Amara non indica il collega lucano a cui sarebbe andata la nomina in questione nel processo pendente in Corte d’appello dopo la condanna in primo grado, a marzo, di 6 dirigenti della compagnia, e la confisca di 44 milioni di euro. Ma durante tutto l’iter giudiziario, iniziato del 2014, non è passata inosservata la presenza tra i legali dell’Eni di Francesco Cannizzaro, attuale presidente del consiglio comunale di Potenza e primogenito di Felicia Genovese. La stessa Genovese, che è stata in servizio come pm nella procura del capoluogo lucano fino al 2007, e dopo una parentesi romana, a fine 2017, ha ripreso servizio a Potenza come sostituto procuratore generale presso la Corte d’appello.

Contattato dal Quotidiano, l’avvocato Cannizzaro non ha voluto commentare le dichiarazioni di «un collega» come Amara. Quindi ha aggiunto di non credere di essere stato l’unico legale incaricato da Eni per la gestione, sul posto, delle sue questioni giudiziarie. Intanto, sul fronte “caldo” dell’inchiesta, ieri è arrivata la decisione del Tribunale del riesame sull’ultimo ricorso ancora pendente contro le ordinanze di misure cautelari eseguite agli inizi di giugno.

A farne le spese è stato il poliziotto materano Filippo Paradiso, considerato l’anello di congiunzione tra Amara, Capristo e diversi membri del Csm, che si è visto respingere la richiesta di lasciare il carcere dove si trova tuttora detenuto. «È una palese disparità di trattamento rispetto alle altre posizioni processuali». Questo il commento dell’avvocato Leonardo Pace, che lo assiste assieme ai colleghi Michele Laforgia e Gianluca Tognozzi.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE