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POTENZA – Qualcuno avrebbe avuto un piano per un furto spettacolare di mezzi pesanti da uno dei cantieri sulla Basentana. Con tanto di auto incendiate e camion di appoggio. E gli uomini del clan Martorano sarebbero stati pronti a mediare il riscatto da pagare per la restituzione di quei mezzi ai loro legittimi proprietari. Ci sarebbero state anche le estorsioni col metodo del “cavallo di ritorno” tra gli affari presi di mira «nell’ultimo periodo» dal boss di Potenza e dai suoi sodali.

Ne sono convinti gli inquirenti dell’Antimafia lucana, che di qui alla fine della prossima settimana attendono il primo vero giudizio sull’inchiesta che il 29 novembre ha portato all’arresto di 38 persone, tra affiliati e fiancheggiatori dello storico clan egemone sugli affari criminali del capoluogo. Agli «interessi» di Renato Martorano e soci, «per furti e estorsioni con il metodo del cosiddetto “cavallo di ritorno” in danno di imprenditori», è dedicato uno degli ultimi capitoli della richiesta di misure cautelari firmata a novembre dell’anno scorso dal pm Annagloria Piccininni e dal procuratore capo Francesco Curcio. Richiesta integrata, in seguito, 3 volte. Ma soltanto per gli aspetti attinenti ai traffici di droga gestiti dal boss e i suoi fedelissimi.

Il gip che ha firmato gli arresti, Lucio Setola, vi ha dato non poco peso nonostante la mancata formulazione di imputazioni specifiche. A suo avviso, infatti, si tratterebbe di un’attività «tipica degli stilemi mafiosi», su cui la «mafiosità del sodalizio si esprime in tutta la sua plasticità». Di qui le esigenze cautelari a carico, in particolare, di Giambattista Pace, che a settembre del 2020 è stato intercettato mentre riceveva una confidenza da un presunto concorrente esterno del clan, Giovanni Quaratino, su quel colpo clamoroso sulla Basentana.

«I due – scrivono i pm riferendo del contenuto di quella conversazione – si confrontano sull’ipotesi di un furto di escavatori impiegati in lavori stradali nelle gallerie tra Balvano e Vietri. In particolare, il Quaratino informava il Pace che poco prima dell’ora di pranzo aveva incontrato tale “Giovanni” che gli avrebbe detto che alcune persone di sua conoscenza lo avevano informato che nelle gallerie tra Balvano e Vietri vi erano degli escavatori che avevano intenzione di rubare, e che si tratta di mezzi di cantiere impiegati nei lavori sulla strada “Basentana” che il sabato e la domenica vengono parcheggiati all’interno di queste gallerie».

Quaratino, considerato un esponente della vecchia guardia del clan sebbene distaccatosene in seguito facendosi strada come imprenditore funerario, avrebbe illustrato «finanche le possibili modalità di consumazione del furto» a Pace. Altro esponente della vecchia guardia. Il piano, quindi, avrebbe previsto l’impiego di «almeno due persone che una volta arrivate all’interno della galleria dovrebbero incendiare delle macchine – verosimilmente a sbarramento della strada – per poi caricare gli escavatori su un camion già presente». Il tutto senza l’utilizzo di telefoni, dato che l’interno della galleria in questione sarebbe stato «privo di campo».

Gli inquirenti hanno evidenziato anche il fatto che, «nel corso dell’interlocuzione», Quaratino, «oltre a mettere in risalto l’elevato valore economico dei mezzi», avrebbe fatto riferimento «alla necessità di individuare un possibile basista». Al che Pace gli avrebbe replicato dicendo che un tempo all’Anas ci sarebbe stato un funzionario «che si prestava ad affari illeciti con la malavita, ma oggi non saprebbe a chi rivolgersi». Una conversazione, insomma: «già di per sé particolarmente rilevante», per i pm dell’Antimafia lucana. Tanto più che in seguito avrebbero registrato l’attivismo dello stesso Pace per una situazione simile. Dopo che un imprenditore del casertano si era rivolto a lui offrendo «un regalo» a chi gli avesse recuperato una mini pala impiegata per stendere i cavi della banda larga per le strade di Potenza.

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