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La conferenza stampa dell'operazione contro il clan Martorano

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POTENZA – Saranno due i processi intentati dalla procura di Potenza sui presunti affari del presunto clan mafioso del capoluogo capeggiato da Renato Martorano e Dorino Stefanutti.

È quanto deciso nei giorni scorsi dal procuratore capo del capoluogo, Francesco Curcio, e i pm Antimafia, Gerardo Salvia e Annagloria Piccininni.

Gli inquirenti hanno chiesto e ottenuto il giudizio immediato per 37 persone, in massima parte ancora sottoposte alle misure cautelari eseguite a fine novembre dell’anno scorso tra Potenza, Vaglio, Palazzo San Gervasio, Baragiano, Forenza e Cutro, in provincia di Crotone.

Per loro è stata già fissata l’udienza di inizio del dibattimento, il prossimo 7 settembre davanti al collegio del Tribunale di Potenza presieduto da Rosario Baglioni.

Al contempo, però, i pm hanno spiccato anche 77 avvisi di conclusione delle indagini indirizzati a 23 dei 37 già citati a giudizio con l’immediato, che ora rischiano un secondo processo per una serie di contestazioni “minori”, più altre 44 persone indagate a piede libero.

Rispetto al quadro tracciato dagli inquirenti a fine novembre, quindi, il dato complessivo degli indagati è salito da 83 a 92, e quello dei capi d’imputazione da 98 a 124.

Le nuove iscrizioni riguardano, perlopiù, presunti acquirenti della droga che veniva spacciata a Potenza e dintorni sotto l’egida del clan.

Agli investigatori della sezione anticrimine della Squadra mobile di Potenza, infatti, molti di loro avrebbero riferito circostanze smentite da intercettazioni e quant’altro. Di qui l’accusa di favoreggiamento.

È accusato di minacce aggravate dal metodo mafioso, invece, l’imprenditore potentino Silvio Quaratino, incensurato e da sempre attivo nel settore delle onoranze funebri, nonché figlio di uno dei presunti esponenti del clan, Giovanni.

A puntare il dito contro padre e figlio è stato il titolare di una macelleria di Potenza, che ha raccontato di essere stato preso di mira dal primo, a settembre dell’anno scorso, mentre era in auto. Per motivi non meglio precisati nel capo d’imputazione.

«Alla guida di un mezzo adibito a trasporto defunti (…) gli impediva momentaneamente di proseguire lungo il tragitto, fermandosi sulla strada e spegnendo il motore». Questa la ricostruzione dell’accaduto effettuata dai pm, per cui Quaratino senior avrebbe accompagnato il gesto con parole di sfida del tipo: «E’ una bella giornata oggi, non la vorrai mica rovinare?»

L’intimidazione al macellaio sarebbe proseguita il giorno dopo quando Quaratino si è presentato nel suo esercizio commerciale e gli ha ribadito il concetto («Ieri ti sei salvato, e ti è andata bene»). Il giorno dopo ancora, quindi, anche il figlio sarebbe passato nel negozio di carni. «Profferendo al suo indirizzo – è scritto nel capo d’imputazione – espressioni del tipo “sono venuto qui perché ti conosco, altrimenti noi questi tipi (sic!) di questioni le risolviamo diversamente”».

Tra le 26 nuove ipotesi di accusa formulate dai pm c’è poi quella di ricettazione a carico di Enzo Giordano, titolare della barberia “Boutique du barbier” di via del Gallitello, arrestato febbraio del 2021 dopo la scoperta, tra pettini e rasoi, di circa 16 mila euro in contanti, un chilo di cocaina e 200 grammi di hascisc.

A novembre dell’anno scorso, infatti, gli inquirenti avrebbero intercettato un acquisto molto particolare effettuato da Giordano: quello di un «orologio recente sul bracciale e sul quadrante il marchio apparente Rolex, modello Date Just Rolesor, di materiale acciario (carrure, fondello e maglie esterne del bracciale) e oro giallo 18 karati (lunetta e maglie interne del bracciale) con quadrante blu scuro, risultato essere inequivocabilmente contraffatto». Un gioiellino insomma, che anche usato, se spacciato per vero, non viene mai scambiato per meno di qualche migliaio euro.

Al centro dei due processi nascenti nati dall’inchiesta sui nuovi affari del clan Martorano, soprannominata “Lucania Felix”, restano comunque le accuse di narcotraffico, e associazione mafiosa. Vale a dire la ricostituzione dello storico clan egemone sugli affari criminali del capoluogo e dintorni, per cui negli anni ‘90 fioccarono le prime condanne. Al termine del processo ribattezzato “Penelope”.

Tra le ulteriori contestazioni, poi, spiccano una serie di tentate estorsioni aggravate dal metodo mafioso, come quella compiuta attraverso una spedizione da Potenza a Palomonte, in provincia di Salerno.

L’obiettivo dell’escursione fuori regione sarebbe stato quello di intimidire un imprenditore che avrebbe avuto un debito da 900mila euro con Marco Triumbari, titolare di un bar poco lontano dal Palazzo di giustizia di Potenza.

Triumbari, per cui pure si procede col rito immediato, si sarebbe rivolto al clan per recuperare il denaro. Così a guidare la batteria si sarebbe mosso Martorano in persona, appena tornato in libertà dopo quasi 11 anni di carcere duro per estorsione mafiosa. E proprio lui avrebbe fatto fuoco con una pistola contro la porta d’ingresso dell’abitazione dell’imprenditore, rivendicando il gesto poco dopo, al telefono.

Tra gli imputati che dovranno comparire in udienza il 7 settembre c’è anche l’ex segretario della Uiltucs Basilicata, Rocco Della Luna, a cui viene contestata l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.

A suo carico gli inquirenti ipotizzano una «gestione “addomesticata” della forza lavoro e delle vertenze sindacali (…) nell’ambito delle direttive impartite dai vertici del sodalizio mafioso». In particolare in relazione a un appalto, quello delle pulizie all’interno dell’ospedale San Carlo di Potenza, durante la gestione di una ditta, la Kuadra srl, che sarebbe stata pesantemente infiltrata dal clan.

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