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Rocco Della Luna

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Clan Martorano, cadono le accuse all’ex segretario regionale Uiltucs Rocco Della Luna di concorso esterno in associazione mafiosa, scagionato anche il cognato del boss calabrese Grande Aracri

POTENZA – Quella di Renato Martorano e i suoi sodali è a tutti gli effetti un’associazione mafiosa dedita, tra l’altro, al traffico di stupefacenti. Di qui le condanne per 8 persone a pene tra i 5 e i 12 anni abbondanti di reclusione, già scontati di un terzo per la scelta del rito abbreviato. Ma l’ex segretario della Uiltucs Basilicata, Rocco Della Luna non ne ha mai fatto parte, nemmeno a titolo di «concorrente esterno».

Lo ha stabilito, ieri mattina, il gup di Potenza Teresa Reggio, al termine del processo di primo grado nei confronti di 10 degli imputati nel maxi-processo sui nuovi affari dello storico clan egemone sugli affari criminali del capoluogo, che nei mesi scorsi avevano optato per il rito abbreviato.

CLAN MARTORANO, DELLA LUNA ASSOLTO CON FORMULA PIENA

Il gup ha assolto con la formula più ampia, «perché il fatto non sussiste», l’ex sindacalista potentino, che era accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e per questa contestazione a fine novembre del 2021 era finito anche agli arresti domiciliari.

Lo stesso gup ha poi assolto dall’accusa di estorsione aggravata dal metodo mafioso, «per non aver commesso il fatto», il calabrese Salvatore Romano, genero di Ernesto Grande Aracri, che è il fratello del più noto Nicolino, considerato tra i più potenti capi della ‘ndrangheta crotonese.

Solo piccoli sconti di pena rispetto alle richieste formulate dal pm antimafia Gerardo Salvia, invece, per gli altri 8 imputati che avevano optato per il rito abbreviato.

In caso di passaggio in giudicato della sentenza, quindi, i potentini Nicola e Michele Sarli, padre e figlio, rischiano di dover scontare, rispettivamente, 12 anni e 8 anni e 8 mesi di reclusione.

Altri 12 anni e 8 mesi di reclusione il giudice li ha inflitti a Carlo Troia, sempre di Potenza. Quindi 6 anni e 8 mesi ad Antonio Masotti di Vaglio, 9 anni a Luigi Cancellara e 8 anni a Rocco Basta, di Palazzo San Gervasio. Infine altri 9 anni ancora a Lodovico Pangrazio di Forenza, e 5 anni e 11 mesi a Umberto Lopiano di Baragiano.

LE MOTIVAZIONI DELLA SENTENZA PREVISTE NEI PROSSIMI GIORNI

Le motivazioni della decisione saranno depositate nella prossima settimana. Ma dalla lettura del dispositivo emerge con chiarezza che il gup ha ritenuto fondata la totalità delle accuse con l’eccezione del solo concorso esterno di Della Luna e della partecipazione di Romano a un tentativo di estorsione. Tentativo per cui è stato già condannato in via definitiva a 3 anni e mezzo di reclusione il potentino Donato Lorusso. Questi aveva materialmente avvicinato i dirigenti della ditta che gestiva la raccolta dei rifiuti speciali dell’azienda ospedaliera San Carlo.

«Siamo sempre stati fiduciosi sugli esiti di questo procedimento, avendo sempre avuto la certezza della totale estraneità di Della Luna rispetto ai fatti contestati».

Questa la dichiarazione, a margine della lettura del verdetto, del difensore del sindacalista, l’avvocato Gianfranco Robilotta. «Abbiamo sempre avuto fiducia – ha aggiunto Robilotta – nella magistratura giudicante e nel magistrato che ha emesso la sentenza, che ha dimostrato terzietà coraggio e totale indipendenza di giudizio. Spero che questa sentenza possa restituire a Rocco Della Luna tutto ciò che gli è stato tolto a causa di questo processo. In particolare che gli sia restituita piena dignità rispetto al ruolo di sindacalista che ha sempre ricoperto con onore e nell’esclusivo interesse dei lavoratori rappresentati».

Soddisfazione per l’assoluzione di Romano, ma al contempo insoddisfazione per l’assoluzione di Sarli, ha espresso, invece, l’avvocato Pantaleo Chiariaco, che ha assistito in solitudine il secondo, e il primo assieme ai colleghi Luigi Colacino e Pasquale Muto. Quindi si è riservato ogni ulteriore valutazione dopo la lettura delle motivazioni della sentenza.

CLAN MARTORANO, LE CRITICHE DELLA CASSAZIONE ALLE ACCUSA A DELLA LUNA

Le accuse a Della Luna hanno ricevuto dure critiche dalla Corte di cassazione a luglio dell’anno scorso, annullando la residua misura cautelare in essere nei suoi confronti. Vale a dire il divieto di dimora in Basilicata, deciso dal Riesame nelle scorse settimane.

Alla figura del sindacalista, infatti, avevano legato la principale ipotesi di infiltrazione del clan nel sistema degli appalti pubblici. Ovvero quella nella gestione delle pulizie all’interno dell’ospedale San Carlo di Potenza, sotto l’egida di una ditta, la Kuadra srl, di cui i boss Renato Martorano e Dorino Stefanutti sarebbero stati soci occulti. Di qui l’ipotesi di una «gestione “addomesticata” della forza lavoro e delle vertenze sindacali (…) nell’ambito delle direttive impartite dai vertici del sodalizio mafioso», grazie proprio alla compiacenza di Della Luna.

LA TESI DELLA CASSAZIONE

Per la Cassazione, però, «al di là di generiche affermazioni», non sarebbe stata individuata «nessuna vicenda dimostrativa dell’addomesticamento delle maestranze e della risoluzione o della prevenzione di vertenze con metodologia anche solo evocativa di un contesto mafioso».

Inoltre, sarebbe «avvolto da un alone di imperscrutabilità» in che modo l’«attività di pressione e di interessamento» da parte di Della Luna all’assunzione dei familiari di Stefanutti, «possa aver avvantaggiato la compagine, al di là del vantaggio per i singoli soggetti».

«Ancor più enigmatica ed oscura, tuttavia – aveva evidenziato la Suprema corte -, resta la motivazione circa il rafforzamento che il Della Luna avrebbe tratto dal suo ruolo di concorrente esterno, posto che l’unico elemento che sembrerebbe emergere riguarda l’incremento di adesioni alla Uil, di cui il ricorrente era esponente, non essendo stato, tuttavia, in alcun modo dimostrato che tale incremento – sulla cui determinazione in termini di iscritti, in riferimento all’arco temporale indicato dalla perimetrazione cronologica dell’imputazione, oltre che in relazione alle altre sigle sindacali, nulla è dato rinvenire – fosse collegato a modalità intimidatrici o, anche solo velatamente evocatrici dell’intervento della compagine criminosa».

Rilievi oltremodo penetranti, insomma, che paiono recepiti appieno nel verdetto di assoluzione appena emesso dal gup.

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