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L’Antimafia sequestra l’impresa boschiva e i risparmi del presunto boss dei pignolesi Saverio Riviezzi. Secondo gli inquirenti ci sarebbe uno squilibrio considerevole tra redditi e patrimonio

POTENZA – I militari della Guardia di finanza hanno sequestrato beni per un un valore di 200mila euro riconducibili a Saverio Riviezzi. Si tratta del pregiudicato 59enne considerato il boss dell’omonimo clan di base a Pignola, nella periferia di Potenza. Per gli inquirenti ha legami con la «criminalità calabrese e campana».

Lo ha reso noto il procuratore distrettuale antimafia di Potenza, Francesco Curcio. Il magistrato ha spiegato che il sequestro, emesso in via d’urgenza, è stato convalidato dalla sezione misure di prevenzione del Tribunale di Potenza. Il provvedimento ha riguardato, in particolare, un’impresa boschiva riconducibile a Riviezzi, con i relativi mezzi di lavoro, macchine e «soprassuoli boscati», e un buono fruttifero delle Poste.

SPROPORZIONE TRA REDDITO E PATRIMONIA, L’ANTIMAFIA SEQUESTRA I BENI DI RIVIEZZI

Alla base del provvedimento, stando a quanto comunicato dal procuratore potentino, ci sarebbero le indagini di natura patrimoniale svolte dal Gico della Finanza nei confronti di Riviezzi e dei familiari, con l’analisi di documentazione a partire dal 1997.

Dagli accertamenti, infatti, sarebbe emersa «una significativa sproporzione tra i modesti redditi ufficiali dichiarati e il valore delle consistenze economiche nell’effettiva disponibilità» del 59enne. RIviezzi di recente ha subito la condanna a 30 anni di carcere, in primo grado, per i giri di droga scoperti dai finanzieri del Gico di Potenza tra il 2016 e il 2018.

RIVIEZZI E IL RISARCIMENTO PER 6 ANNI DI INGIUSTA DETENZIONE

Nei mesi scorsi Riviezzi si era visto dare ragione dalla Corte di cassazione rispetto a una richiesta di risarcimento da mezzo milione di euro e rotti per 6 anni e 4 mesi di ingiusta detenzione. Anni di detenzione sofferti in esecuzione di un’ordinanza di misure cautelari spiccata dal gip di Potenza, nel 2006, nell’ambito dell’inchiesta sugli affari e le contese tra i presunti clan nati dalla dissoluzione della cosiddetta “famiglia basilisca”. Inchiesta conclusasi nel 2018 con l’assoluzione definitiva di Riviezzi e degli altri imputati «perché il fatto non sussiste», come pure l’inchiesta “madre” sulla cosiddetta “quinta mafia”.

Nel 2015 lo stesso Riviezzi aveva ottenuto l’assoluzione anche per la rapina da un miliardo e quasi duecento milioni di lire alla filiale della Carical di via Cairoli a Potenza, il 29 novembre del 1994. Per quest’accusa ad aprile del 2021 il tribunale ha emesso sentenze di condanna in via definitiva, invece, per il melfitano Massimo Cassotta e il potentino Carmine Campanella. Gli inquirenti non hanno mai recuperato il bottino della rapina.

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