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Il centro oli di Viggiano

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Nel processo per disastro ambientale per il Centro oli Eni di Viggiano il tribunale non ha ammesso come prova il memoriale dell’ingegnere morto suicida nel 2013

POTENZA – Il dibattimento vero e proprio del processo sul disastro ambientale provocato dal Centro olio di Viggiano prenderà il via il 15 novembre prossimo. E’ quella la data fissata per la prossima udienza, al Tribunale di Potenza, al termine della lunga fase di ammissione dei testimoni e dei mezzi di prova, giunta alla conclusione. Ma, entro la fine del 2023, ne sono state previste altre tre dal giudice del collegio, Rosario Baglioni. L’intento è di procedere in maniera celere in quello che molti, No triv in primi, hanno definito «il processo dei rinvii».

Nell’udienza di ieri è stato deciso che non sarà ammesso il “memoriale” dell’ingegnere Gianluca Griffa. L’ingegnere piemontese morta suicida a 38 anni, ex responsabile della produzione del Centro olio dell’Eni di Viggiano. Egli in una lettera-testamento ritrovata dopo la sua scomparsa, nel 2013, aveva evidenziato una serie di problematiche nella gestione dell’impianto più importante per il programma di estrazioni del cane a sei zampe in Basilicata.

L’accusa, rappresentata dal pubblico ministero Vincenzo Montemurro, ne aveva chiesto l’acquisizione ma i difensori dei tre direttori pro tempore del Centro oli – Ruggero Gheller, Enrico Trovato e Andrea Palma, si sono opposti. E il collegio giudicante, alla fine, ha accolto la loro istanza escludendo gli scritti dai mezzi di prova del procedimento.

DISASTRO AMBIENTALE ENI A VIGGIANO, LE PREOCCUPAZIONI DEL MANAGER MORTO

Delle preoccupazioni, dei timori e dei rischi paventati dal giovane ingegnere morto suicida, in compenso, potrà parlare la sorella, Simona Griffa, ammessa tra i testimoni del processo, che sono decine. Sarebbe stata lei a raccogliere le confidenze del fratello, anche relativamente alla gestione del Centro olio dell’Eni di Viggiano. Confidenze fattele prima che decidesse di togliersi la vita, come stabilito durante il processo al Tribunale di Asti, dove gli scritti dell’ingegnere erano stati acquisiti. In quelle “memorie” si faceva riferimento a buchi nei serbatoi, pericoli di inquinamento ambientale, responsabilità anche di inviti ricevuti a evitare di parlare di quelle problematiche.

Secondo gli inquirenti, i manager dell’Eni avrebbero tenuto nascosti per anni i problemi di corrosione dei serbatoi di stoccaggio del greggio appena lavorato nell’impianto, che riceve il materiale estratto dai pozzi petroliferi attivi nell’area e, dopo averlo separato dal gas e l’acqua presenti nel giacimento, lo immette ad alta pressione nell’oleodotto collegato alla raffineria di Taranto. A portare gli inquirenti sulle loro tracce era stata proprio la lettera – testamento di Gianluca Griffa, in cui raccontava dei problemi incontrati per aver sollevato questo e altri problemi nella gestione dello stabilimento lucano.

L’ingegnere Griffa, allontanato dall’incarico in Basilicata e proposto per una missione all’estero, si era tolto la vita, nell’estate del 2013. Ma il suo scritto indirizzato ai carabinieri di Viggiano, in cui accusava i colleghi di aver spinto eccessivamente la produzione dell’impianto, è emerso dai cassetti della Procura di Asti soltanto nell’estate del 2017. Pochi mesi dopo la scoperta della perdita di almeno 400 tonnellate di greggio da uno dei serbatoi di stoccaggio.

DISASTRO AMBIENTALE ALL’IMPIANTO ENI DI VIGGIANO SCOPERTO PER CASO

Una scoperta assolutamente fortuita, a gennaio del 2017. Poco prima che la contaminazione si espandesse verso l’invaso di acqua potabile del Pertusillo, due chilometri più a valle. In ogni caso, troppo tardi per evitare la «menomazione del reticolo idrografico esistente», dovuta all’interruzione del flusso delle acque in uscita dal dreno sotto l’area industriale, per evitare il propagarsi della contaminazione. Di qui l’accusa di disastro ambientale nei confronti di Trovato, secondo la normativa introdotta nel 2015. E di disastro “semplice” per Gheller e Palma, che sono stati in servizio a Viggiano in anni più lontani.

Un disastro di cui si continuano ad avvertire le conseguenze. Per il ripristino della situazione preesistente, infatti, potrebbero volerci degli anni dato che, ancora oggi, ad anni di distanza, non c’è alcuna certezza né sulla quantità reale di greggio sversato (l’Eni sostiene circa 400 tonnellate di cui almeno l’85 per cento sarebbe stato già recuperato) né sulla tecnologia da utilizzare per effettuare la bonifica del terreno contaminato sotto un impianto in produzione.

IL PROCESSO PETROGATE E LE ACCUSE

Gli imputati al cosiddetto processo “Petrolgate, per accuse di vario tipo, restano comunque in nove, a partire dall’ex responsabile del Distretto meridionale dell’Eni, Ruggero Gheller, dal suo successore, Enrico Trovato e dall’ex “operation manager” Eni di stanza in Basilicata, Andrea Palma. Ma sotto accusa ci sono anche i membri del Comitato tecnico regionale “Grandi rischi” che nel 2014 non presero provvedimenti sui serbatoi responsabili della perdita di greggio scoperta tre anni più tardi. Si tratta di: Antonio Tuzzolo, Mario Carmelo De Bona e Saverio Laurenza, dei vigili del fuoco; la funzionaria dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente Mariella Divietri; un dirigente dell’Istituto nazionale assicurazione e infortuni sul lavoro, Giovambattista Vaccaro; e l’architetto del Comune di Viggiano Antonella Amelina.

Numerosi i testi e tante anche le parti civili (in buona parte agricoltori che si considerano danneggiati dagli sversamenti) ammessi al processo che riprenderà, come stabilito ieri, il 15 novembre prossimo. Nella prossima udienza si partirà non subito dai testimoni. Prima sarà affrontata la parte “tecnica”, ascoltando quelli che sono i dati raccolti dai carabinieri del Nucleo operativo ecologico (Noe), durante la fase delle indagini che hanno effettuato nell’area e il resoconto del del consulente tecnico della Procura, che ha eseguito gli accertamenti nella zona del disastro.

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