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Studenti del Cpia di Potenza rigorosamente col giubbotto per la mancanza di riscaldamento

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Viaggio nel Cpia (Centro provinciale istruzione adulti) di Potenza dove i lavori di recupero urgono, come dimostra il caso di una studentessa disabile

POTENZA – I ragazzi del Cpia (Centro provinciale istruzione adulti) sono ancora “congelati” nell’ultimo piano dello stabile di via Lacava. E si usa la parola “congelati” non a caso. Perché qui si sta in aula con i giubbotti, se si accende una stufetta nella presidenza la si deve spegnere nelle aule, perché sennò scatta il contatore. Anche per quello servirebbero dei lavori. Intanto la corrente salta, saltano i computer, le Lim collegate, le stampanti. E le attività devono fermarsi fino al riavvio, stabilendo chi può accendere e chi deve spegnere.

Dopo le segnalazioni del gruppo consiliare “La Basilicata possibile”, la spiegazione del sindaco Mario Guarente e la replica della dirigente dell’Istituto di istruzione ministeriale, Giovanna Sardone, siamo andati di persona a verificare la situazione del Cpia. Circa trecento gli studenti – lo ricordiamo – che hanno a disposizione tre aule in tutto. Una quarta (nel periodo emergenziale destinata ad area Covid, quindi non utilizzabile) oggi è la sala dove si fanno le prove per i test di conoscenza della Lingua italiana da parte dei richiedenti il permesso di soggiorno. Ci sono anche (ammassate) attrezzature comprate dopo aver vinto bandi ministeriali e che non si possono utilizzare al meglio per assenza di spazi.

Per far quadrare i conti, c’è una sorta di turn over: gli studenti sono suddivisi per orari, dalle 9 del mattino fino alle 19. C’è poi l’aula del Dsga (Direttore dei servizi generali e amministrativi), quella della presidenza, che diventa, alla bisogna, aula riunioni. L’aula professori è il corridoio difronte alla presidenza, poco più sotto – stesso corridoio – il personale Ata, le stampanti, gli armadietti. Ammassati alla meno peggio i fascicoli, cartoni, materiale scolastico. «Non abbiamo spazio», spiegano le professoresse. C’è un’altra stanzetta per la segreteria amministrativa, dove sono accavallate 4 postazioni per i 4 addetti. «Uno sull’altro, altro che distanziamento». E infatti se uno prende l’influenza, inevitabilmente quello accanto gli farà compagnia. C’è un solo bagno per gli studenti. E’ pulito perché il personale ci tiene che sia così, ma in pessime condizioni.

«Nell’accordo firmato con il Comune quando mi consegnarono le chiavi – spiega Sardone – era stato scritto che ci sarebbero stati una serie di interventi di riqualificazione. Tra questi anche la creazione di un bagno per le donne e i disabili. Non è stato fatto neppure uno di quegli interventi e per le studentesse (c’è anche una giovane suora) non si è potuto far altro che dedicare uno dei gabinetti in un bagno che è solo maschile». Gli interventi da fare. Erano stati garantiti nell’ottobre del 2017. Tra questi c’era anche il problema della scala antincendio, che costituisce l’unico ingresso per gli studenti. Se fosse stata fatta una proposta così indecente a una qualsiasi altra scuola, sarebbero scesi in piazza i genitori. Ma quelli che frequentano il Cpia spesso i genitori non li hanno, sono extracomunitari. Alcuni con storie terribili alle spalle. E sono considerati adulti.

In realtà moltissimi di loro sono piccoli, questa è la loro scuola a partire dai 16 anni. E hanno visi di ragazzini sorridenti che vogliono imparare. Perché sono venuti qui per avere una vita migliore e lo sanno che è necessario studiare. Quindi fanno quelle scale di ferro velocemente, per essere puntuali in classe. Ma è un rischio. Perché quando piove, quando c’è il ghiaccio, quelle scale sono un attentato alla sicurezza. «Avevo chiesto che alzassero le barriere, che mettessero una pensilina davanti all’ingresso. Nulla. E il pericolo c’è di giorno, figuriamoci di sera (i ragazzi vanno a scuola fino alle 19), quando le scale sono malamente illuminate. «Già qualcuno è caduto – dice Sardone – per fortuna senza farsi male. Ma io ho sempre così tanta paura che, quando c’è maltempo tremo. E se c’è ghiaccio mi vedo costretta a chiudere la scuola». Perché i ragazzi devono usare la scala antincendio? La struttura di via Lacava ha un altro ingresso, quello principale. Interdetto agli studenti, può usarlo solo la preside che ha ricevuto questa “concessione” in quel famoso accordo del 2017. Nell’atrio dello stabile di via Lacava, infatti, si sarebbero dovuti trasferire gli uffici dell’Arlab in base a una convenzione firmata dal Comune (allora presieduto da Dario De Luca). E quindi, per non disturbare i dipendenti Arlab, optò per la scala d’emergenza con quell’unica eccezione. Solo che i dipendenti Arlab lì non si sono mai spostati, così come non sono andati quelli della Protezione civile. E – facile presumerlo viste le condizioni di quell’atrio – difficilmente vi si sposterà il Csv (Centro servizio volontariato), così come previsto dal sindaco Guarente. E non solo perché quell’atrio cade a pezzi – si è allagato (le parenti scrostate sono lì a confermarlo) e poiché nessuno andava a pulire addirittura vi è cresciuto un muschio verde – ma anche perché ci sarebbero troppe barriere architettoniche da eliminare.

Ed è poco edificante che un’amministrazione così attenta alle problematiche del disabile non si accorga di quanto quella scuola neghi pari opportunità agli studenti “adulti” e al disabile. «E’ capitato che qualche studente abbia ritirato la propria iscrizione per questo motivo», conferma la vice preside, Anna La Torre. E a conferma delle difficoltà c’è una Pec scritta dalla dirigente il 29 dicembre 2020. «In piena emergenza Covid – racconta Sardone – siamo riusciti a organizzare il test per i richiedenti del permesso di soggiorno. Erano circa una cinquantina, in spazi davvero angusti e quindi bisognava organizzare dei turni. Ma poiché faceva freddo, abbiamo chiesto e ottenuto, in quella occasione, che i partecipanti potessero entrare nel locale dall’ingresso principale e non dalle scale antincendio. Inutile dire che erano al freddo, nel pomeriggio, si è fatto buio e non c’era illuminazione. Tra i candidati si presenta una signora disabile, sulla sedia a rotelle, perché affetta da grave disabilità motoria. A portarla nei locali dopo doveva fare l’esame sono stati gli altri candidanti, che se la sono dovuta caricare a braccio, su scale non illuminate e pericolose». E hanno poi dovuto riportare giù la disabile nello stesso modo, rischiando di farla cadere.

Il Cpia è a tutti gli effetti una scuola – c’è scritto sulle carte – ma non viene trattata come tale, è evidente. «E davvero non capiamo perché – dice Laura Bianco una delle docenti – noi ci impegniamo così tanto per l’inclusione di ogni disabile, che è poi frustrante rendersi conto di come invece questa scuola venga considerata. A Bologna il Cpia è un fiore all’occhiello portato a esempio. E noi facciamo cose belle e innovative, di cui questo comune potrebbe vantarsi». Tra queste un nuovo corso che si vuole attivare per venire incontro a richieste concrete. Mancano gli autotrasportatori e qui si vuole attivare un corso che permetta ai ragazzi di prendere la necessaria patente. Una risposta concreta a un bisogno reale. Che però, ancora una volta, si scontra con gli spazi inesistenti. «Se il sindaco ci concede il secondo piano – conclude Sardone – noi siamo disponibili, aspettiamo con ansia questa assegnazione che, però, ancora non è arrivata». Nel frattempo quel secondo piano è stato pulito, non si sa mai.

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