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Terremoto 1980, i morti davanti alla scuola elementare di Balvano

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BALVANO (Potenza) – Il corpo inerme di Cristina è stato tra i primi a essere estratto dalla chiesa di Balvano. Lo ha trovato il padre Costantino accorso dalla campagna subito dopo la scossa delle 19.34. Scava affannosamente Costantino. Forse nel suo cuore conserva la speranza di poterla trovare ancora viva. Invece Cristina è già morta. Giace sotto quelle macerie. Dei suoi 16 anni rimane solo un corpo senza scarpe pieno di polvere e di calcinacci. Il fiore della sua giovinezza è spezzata per sempre dalla furia cieca del terremoto. Il padre Costantino quel giorno spegnerà la speranza. E’ l’ultima volta che da vivo entrerà in una chiesa. Un dolore tutto umano e comprensibile che lo ha segnato per sempre. Insieme a Cristina quel 23 novembre 1980, Costantino perderà un’altra figlia Rosa e la piccola nipotina Maria Carmela. Troppo per un uomo tutto di un pezzo. Troppo sperare ancora in un Dio che, – dal suo punto di vista, – non ha avuto pietà nemmeno dei bambini. Quella sera nella chiesa dell’Assunta di Balvano c’era anche la moglie Maria Catena. Si è salvata per miracolo. Maria ha un vago ricordo di quella sera: le figlie, la nipote, il boato e infine il vuoto. Non ha memoria degli attimi successivi al terremoto. Ricorda che ha vagato per la piazza principale in una sorta di trance. Dopo diverso tempo si accorge che è senza una scarpa. Come la figlia Cristina.

Le scarpette di Cristina

L’ultimogenita. Maria vedrà Cristina per l’ultima volta in una bara. Con i vestiti che portava al momento del terremoto e senza le scarpe. Così come l’aveva ritrovata Costantino. La donna, al contrario del marito, conserverà una grande fede. Non c’è stato giorno – raccontano i parenti – che non abbia pregato per le proprie figlie e per la piccola nipotina. Nel 1996 Costantino si ammala. Sul letto di morte, come in una liberazione, chiama per nome le figlie morte nel terremoto. Non lo aveva mai fatto. Per sedici anni aveva cercato di tenersi dentro un dolore troppo grande da poter condividere con gli altri.

Il giorno del trapasso di Costantino, Maria Catena mette nella bara del marito due scarpe da donna. «Sono per Cristina. Glie le porterà lui» dice ai suoi familiari: la tenerezza di una madre è tutta in quel gesto. Cristina, Rosa e Maria Carmela sono solo 3 delle 66 vittime che quella sera nella chiesa dell’Assunta troveranno la morte. 34 hanno una età inferiore ai 18 anni (non 66 come erroneamente è stato sempre riportato nelle cronache). Balvano ne piangerà in tutto 77. E’ il paese che ha pagato il tributo maggiore. La strage degli innocenti la chiamarono all’epoca. La «generazione mancante» la chiamano invece oggi. Una strage di cui buona parte della popolazione attuale, porta ancora le ferite.

Prima di quel 23 novembre il parroco don Salvatore Pagliuca, per giorni aveva invitato la comunità a riunirsi in chiesa. In paese, infatti, era previsto l’arrivo del padre redentorista Ettore Santoriello per una predicazione rivolta ai bambini che avrebbero ricevuto la prima comunione. Molte famiglie accolsero l’invio del sacerdote. Nella chiesa dell’Assunta quella sera si contavano più di 300 persone. La messa era finita da poco.

Il crollo delle case: il 97,5 per cento degli edifici era pericolante

Dopo gli avvisi di rito comunicati da don Pagliuca, si scatena I’apocalisse. Erano le 19.34. Il pavimento si solleva e le pareti cominciarono a dondolare. I più giovani corsero verso l’uscita principale. Fu la loro condanna. Una parte del tetto cedette alla furia del terremoto. I più anziani e altre persone guadagnarono l’uscita da una porta laterale. Fu la loro salvezza. Dopo 90 interminabili secondi, il sisma si arresta e il silenzio dei primi attimi è scosso dal pianto e dal grido di dolore delle persone che in pochi minuti raggiungono la piazza principale. Dopo una notte frenetica, Balvano si risvegliò come in un incubo. Alla tragica conta dei morti, si sommò il fatto che il paese era completamente distrutto (il 97,5 per cento degli edifici era pericolante). Al dolore per le vittime, si aggiunse la tragedia dei vivi senza più un tetto. La foto delle bare poste nello spazio antistante la scuola fece il giro del mondo e divenne l’emblema di un terremoto che fece giustizia sommaria di tutto e di tutti.

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