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Antonio Nicastro

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POTENZA – «Ho piena fiducia nella magistratura e nelle forze dell’ordine e sono sicuro che sarà fatta totale chiarezza. Bisogna rispettare il dolore della famiglia Nicastro. Sono a disposizione per ogni tipo di chiarimento, anche perché sono un uomo che dedicato tutta la propria vita alla difesa delle Istituzioni». Ha replicato così il governatore Vito Bardi, ieri, alle ultime notizie pubblicate sul Quotidiano del Sud in relazione alle indagini sulla morte per covid, agli inizi di aprile 2020, del giornalista potentino Antonio Nicastro.

Indagini che hanno ricostruito quelle terribili, prime settimane dall’esplosione della pandemia da covid 19. Quando non si sapeva ancora come affrontare il virus, i tamponi diagnostici scarseggiavano, e quelli processati, nelle 24 ore, difficilmente superavano la trentina.

È proprio in quei giorni, infatti, che il giornalista potentino, già affetto da gravi sintomi della malattia, sarebbe stato scavalcato da almeno 34 persone nell’attesa del test. Incluso lo stesso governatore. Persone per cui gli inquirenti non avrebbero “traccia”, nella documentazione dell’Azienda sanitaria di Potenza, «di eventuali elementi giustificativi della necessità di ritenere tali accertamenti diagnostici prioritari rispetto a quelli rivolti ad altri pazienti tra i quali risulta evidente Antonio Alfonso Luciano Nicastro».

Col risultato di costringere quest’ultimo ad attendere in casa dal 13 al 22 marzo per avere la conferma della sua positività. Dopo essere stato respinto dal pronto soccorso senza essere sottoposto alle analisi che avrebbero potuto far emergere la gravità del suo quadro clinico. Un tempo che sarebbe potuto essere anche maggiore se il figlio non avesse deciso di denunciare per primo, pubblicamente, quei ritardi.

Poi il ricovero immediato, il 22 sera, nel reparto malattie infettive del San Carlo, e il passaggio quasi immediato nella terapia intensiva, da dove Nicastro non sarebbe mai uscito.

I pm potentini non muovono contestazioni di alcun tipo a Bardi e agli altri che sarebbero stati sottoposti al test prima di Nicastro. Piuttosto hanno ipotizzato un’omissione di atti d’ufficio al direttore sanitario dell’Azienda sanitaria di Potenza, Luigi D’Angola, e al direttore del reparto di igiene e sanità pubblica della stessa Asp, Michele De Lisa, che avrebbero firmato le richieste di quei tamponi senza documentarne i motivi.

Nell’elenco dei 34 “vip” che avrebbero goduto di questa corsia privilegiata per l’accesso al test compaiono anche un addetto della segreteria del governatore, Antonio Maiorano, l’ex direttore generale del dipartimento Salute, Ernesto Esposito, il direttore dell’Unità operativa complessa “Distretto della salute” dell’Asp, Sergio Maria Molinari. Poi altri 3 membri della giunta regionale, Francesco Fanelli, Donatella Merra (entrambi della Lega) e Gianni Rosa (FdI). Quindi, ancora, il consigliere regionale Gerardo Bellettieri (Fi), lo stesso De Lisa, un paio di dirigenti dell’ufficio Servizi alla persona della Regione, Rocco Ciorciaro e Daniela Rivela, il segretario particolare dell’assessore Rosa, Michele Castelluccio, la dipendente dell’ufficio di presidenza della giunta, Donata Salvatore, e diversi dirigenti sanitari. Come la dirigente del Crob, Patrizia Aloé, il coordinatore della task force anti virus della Regione, Michele Labianca, e l’attuale direttrice sanitaria dell’azienda ospedaliera San Carlo, Angela Bellettieri.

Nelle scorse settimane è stato già notificato un avviso di conclusione delle indagini a D’Angola, De Lisa, e altre 7 persone, indagate a vario titolo. Pertanto nei prossimi giorni i pm dovranno decidere se chiedere il rinvio a giudizio nei loro confronti, o l’archiviazione delle accuse.

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