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Antonio Nicastro

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POTENZA – Sono state inviate alla procura di Potenza – e di fatto segretate -, le conclusioni dell’inchiesta interna avviata dalla Regione Basilicata sul caso di Antonio Nicastro (LEGGI LA NOTIZIA): l’attivista e giornalista potentino morto il 2 aprile per covid 19, dopo aver denunciato ritardi nell’effettuazione dei tamponi.

E’ quanto reso noto ieri in serata con un succinto comunicato dal governatore Vito Bardi, a cui sono state consegnate le conclusioni dell’inchiesta interna, avviata proprio su sua sollecitazione.

Quali siano queste conclusioni il governatore non lo spiega rimettendo il tutto all’autorità giudiziaria che, «com’è noto», ha aperto a sua volta un’inchiesta, e «dovrà decidere su eventuali ipotesi di reato».

Fino ad allora, però, paiono destinati a restare al loro posto tutti i sanitari che hanno avuto in carico la salute di Nicastro dalla prima richiesta di aiuto al tragico epilogo nella Terapia intensiva del San Carlo. Inclusi gli operatori del Pronto soccorso, sempre del San Carlo, che il 13 marzo lo hanno rimandato a casa senza effettuargli il tanto agognato tampone né la radiografia toracica che era stata chiesta da una guardia medica, malgrado tosse e febbre resistenti a più di una settimana di terapia antibiotica. Il tutto tre giorni dopo la scoperta del «paziente zero» di Potenza e l’allarme lanciato – inutilmente – dalle colonne del Quotidiano del Sud sul giallo che ha avvolto l’origine di quello e di una serie di altri contagi scoperti nel capoluogo attorno alla metà di marzo.

La notizia sul caso Nicastro è arrivata ieri in serata a chiusura di una giornata che ha fatto registrare ancora una volta zero contagi in regione, ma anche un nuovo decesso tra i lucani che hanno contratto il covid 19.

A darne notizia è stato il sindaco di Avigliano, Vito Summa, e non è ancora chiaro se oggi verrà aggiornato il numero ufficiale dei morti in Basilicata a causa della pandemia.

L’uomo infatti, poco più che settantenne, era stato ricoverato a fine marzo al San Carlo assieme al fratello. Lì dove lavora un loro familiare che era stato tra i primi operatori del nosocomio risultati positivi al virus, e per questo è stato sospettato di aver diffuso – involontariamente – il contagio tra i congiunti.
Il fratello, però, sarebbe morto a metà aprile, mentre lui agli inizi di maggio è risultato negativo al covid 19, quindi è stato dimesso dalla terapia intensiva e trasferito in pneumologia.

Di qui, dopo due distinti tamponi effettuati nell’arco di 24 ore, anche la dichiarazione di guarigione, che è rimasta tale nonostante un ulteriore tampone da cui sarebbe emersa una positività “di ritorno” a carica molto bassa.

Ieri tra la Regione e il San Carlo è proseguito anche il lavoro per la ripartenza delle attività dell’azienda ospedaliera regionale, con un incontro ad “alta tensione” tra i vertici del dipartimento Salute e il dg Massimo Barresi.

Il risultato è stata la convocazione, oggi stesso, di un incontro tra l’azienda e i sindacati sugli straordinari per i turni notturni che i medici non hanno trovato nelle ultime busta paga. L’obiettivo è una soluzione che scongiuri in particolare la protesta degli anestesisti, ovvero di chi ha sofferto maggiormente la decurtazione effettuata a causa delle interminabili guardie prestate durante la fase “calda” dell’emergenza sanitaria.

Senza un accordo, infatti, il rischio è di veder sfumare la ripartenza delle attività operatorie “non salvavita” prevista per la settimana prossima dopo quasi tre mesi di stop. Un’evenienza che in Regione vorrebbero scongiurare, anche a costo di deporre, momentaneamente, le armi puntate da settimane contro il discusso dg.

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