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Dino Donnoli e Luigi D’Angola (con la mascherina)

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POTENZA – Non solo le corsie preferenziali per qualcuno e i ritardi sofferti da altri, come il compianto giornalista potentino Antonio Nicastro. Ma una vera e propria “casta” annidata ai vertici delle istituzioni lucane, che avrebbe abusato dei pochi tamponi a disposizione, durante la prima fase dell’emergenza covid, più per provare ad alleviare le proprie ansie che per reali esigenze sanitarie.

C’è anche questo tra i temi che sarebbero emersi, ieri, durante gli interrogatori dei tre indagati nell’ambito dell’inchiesta dei carabinieri dell’aliquita di polizia giudiziaria al comando del colonnello Domenico Del Prete sui ritardi e le corsie preferenziali nell’effettuazione dei tamponi per la diagnosi del covid 19 durante la fase calda dell’emergenza sanitaria.

Di fronte al procuratore capo Francesco Curcio e all’aggiunto Maurizio Cadea sono comparsi Nicola Manno, medico del reparto di Igiene e sanità pubblico assistito da Leonardo Pace, seguito dal primario del reparto, Michele De Lisa, assistito dall’avvocato Sergio Lapenna, e il direttore sanitario dell’Azienda sanitaria di Potenza, Luigi D’Angola, assistito dall’avvocato Dino Donnoli.

Gli interrogatori degli ultimi due, in particolare, si sono protratti più del previsto: 3 ore per De Lisa e oltre 4 ore per D’Angola.

«Abbiamo chiarito – ha spiegato Lapenna contattato dal Quotidiano a margine dell’incontro con i pm – che chi ordina il tampone non ha il compito di visitare e disporre il ricovero del cittadino, che invece è competenza del medico di base e di chi può verificarne in concreto le condizioni, come avviene al pronto soccorso».

Quanto al caso specifico di Nicastro, Lapenna ha respinto l’accusa di omissione d’atti d’ufficio in relazione al ritardo con cui venne sottoposto al tampone diagnostico, ribadendo quanto già evidenziato dall’Asp nella sua difesa trasmessa alla Regione. Vale a dire che il compianto giornalista potentino non sarebbe rientrato nella casistica per cui i protocolli sanitari in vigore in quei giorni, a metà marzo, consentivano un tampone urgente.

Soddisfatto dell’esito dell’interrogatorio anche il difensore di D’Angola, che è accusato di omissione di atti di ufficio in concorso con De Lisa e di falso in rapporto alla relazione sull’accaduto fornita alla Regione sul fatto che Nicastro non avesse i requisiti richiesti per l’accesso al tampone.

«Il dottore ha risposto a tutte le domande che gli sono state formulate e ha ricostruito in maniera puntuale gli eventi oggetto del procedimento. Quindi con la competenza che possiede ha documentato totale estraneità reati ipotizzati». Così l’avvocato Donnoli, che si è celato dietro al riserbo istruttorio per scansare le domande sulle «sollecitazioni» ricevute dai vertici della Regione, e sulla lista di pazienti “vip” in mano ai pm. Cittadini, talvolta anche con incarichi istituzionali, sottoposti a tampone proprio in quei giorni, benché privi sia di sintomi specifici che di contatti con casi accertati di coronavirus (come prescrivevano i protocolli in vigore all’epoca).

«Siamo in una fase – ha dichiarato il legale – nella quale non posso rilasciare ulteriori dichiarazioni sul punto».

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