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Allarme per nuove possibili perdite al Centro Oli di Viggiano, scoperte nella falda altre sostanze inquinanti utilizzate nell’impianto, ma la compagnia esclude «fonti attive» e annuncia di aver recuperato, dal 2017, 338 tonnellate del greggio disperso dai serbatoi di stoccaggio bucati

POTENZA – È salito a 338 tonnellate il conteggio sul petrolio disperso dai fori nei serbatoi del Centro oli dell’Eni di Viggiano scoperti nel 2017 e recuperato nella falda acquifera sottostante.

Lo ha comunicato alla Regione Basilicata la stessa compagnia del cane a sei zampe nel suo aggiornamento annuale sulle operazioni di contenimento dell’inquinamento avviate all’indomani della scoperta delle perdite e tuttora in corso. In attesa di capire come e quando bonificare il terreno contaminato.

CENTRO OLI DI VIGGIANO, IL GIALLO SULLE POSSIBILI NUOVE PERDITE

I dati comunicati a via Verrastro sono quelli di febbraio, e al loro interno spicca il quantitativo di liquido pompato in superficie dai pozzetti scavati per prosciugare la falda lungo un asse orizzontale. Per evitare che il greggio migri 2 chilometri più a valle sin dentro l’invaso del Pertusillo, che ogni giorno rifornisce di acqua i rubinetti di circa 2 milioni di cittadini di Basilicata e Puglia e gli impianti di irrigazione di 35mila ettari di terreni agricoli a cavallo tra le due regioni. Acqua recentemente declassata da A2 ad A3, per ragioni di «sicurezza», dall’Agenzia regionale dell’ambiente della Basilicata, costringendo Acquedotto lucano e Acquedotto pugliese a cambiare il trattamento fisico e chimico necessario per la sua potabilizzazione, oltre alla classica «disinfezione, da «normale» a «spinto».

In poco meno di sei anni dall’attivazione delle misure di messa in sicurezza dell’area sarebbero state oltre 964mila le tonnellate di «liquido emunto» dai piezometri realizzati dall’Eni, che hanno permesso di recuperare quasi l’85% delle 400 tonnellate di petrolio che la compagnia ha indicato come la probabile entità della perdita provocata dalla corrosione dei serbatoi di stoccaggio del greggio. Prima del passaggio nell’oleodotto “Monte Alpi” che lo trasporta fino alla raffineria di Taranto.

Nella relazione del cane a sei zampe, però, si legge anche di grafici sulla qualità delle acque superficiali che mostrano «picchi di concentrazione» di sostanze inquinanti «più elevati rispetto all’andamento medio». Salvo poi precisare che si tratta comunque «di valori minimi che risultano accentuati a causa della scala grafica utilizzata per la restituzione del trend storico di ciascun parametro».

IL NODO DEL CLOROFORMIO PRESENTE NELLA FALDA

Altra questione, poi, è quella di sostanze come il triclorometano, altrimenti conosciuto come cloroformio, che continua a saltare fuori dalla falda sotto l’impianto ma Eni insiste nel disconoscere, in quanto non riconducibile ad attività compiute nel Centro olio.

In alcuni dei punti monitorati la compagnia spiega di aver registrato, a ottobre dell’anno scorso, «concentrazioni in aumento rispetto al trend storico per il parametro Toluene», sebbene a febbraio la sostanza disciolta nell’acqua sia tornata al di sotto del «limite di rilevabilità strumentale e in linea con
lo storico».

In un altro punto ancora, invece, si sarebbe registrata una concentrazione record di benzene, a dicembre, seguita dalla scomparsa al di sotto del limite di rilevabilità della sostanza sui campioni prelevati due mesi dopo. A corredo del report sulle operazioni di contenimento dell’inquinamento provocato dalle perdite dai serbatori del Centro olio, Eni ha trasmesso alla Regione anche le relazioni su una serie di altri incidenti occorsi, per i quali ha attivato le procedure di messa in sicurezza dell’ambiente circostante.

IL CONFRONTO CON LA REGIONE E LA PROVINCIA SULLA CONDOTTA CHE POTREBBE ESSERE DANNEGGIATA

Tra questi c’è il ritrovamento in falda, tra gennaio e febbraio, di ammine come quelle che vengono copiosamente utilizzate all’interno del Centro olio per proteggere le apparecchiature dalla corrosione. Un ritrovamento, ribattezzato “Spill G102”, per cui a marzo è già partito un confronto serrato con Regione e Provincia di Potenza, finalizzato ad avviare le indagini necessarie a individuare la condotta danneggiata da cui starebbe fuoriuscendo la sostanza. A maggio, però, Eni ha reso noto di aver sottoposto a verifiche la totalità delle «linee di drenaggio amminico del Cova (Centro olio Val d’Agri, ndr)». Verifiche che ne hanno confermato l’«integrità», spingendo la compagnia ad escludere «la presenza di fonti di contaminazione attive».

«La presenza di sulfolano e composti amminici – si legge in una comunicazione di maggio pubblicata assieme agli altri report – risulta, con i dati ad oggi disponibili, contenuta all’interno della rete di piezometri monitorata e che le azioni di Mise (messa in sicurezza di emergenza, ndr) già in essere (emungimenti, spurghi forzati, campionamenti settimanali e mensili delle acque sotterranee) sono costantemente attive e monitorate al fine di garantire il contenimento di detta contaminazione».

«I monitoraggi degli ulteriori piezometri integrativi (…) realizzati all’esterno del Cova – conclude Eni -, hanno evidenziato la conformità per tutti i parametri ricercati ad esclusione del parametro triclorometano (come noto, specificamente considerato in diverso procedimento ambientale), confermando il confinamento e l’efficacia delle azioni di Mise attivate nell’area immediatamente a valle idrogeologica dello Spill G102».

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