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Il centro olio di Viggiano

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L’Eni esclude la presenza di perdite attive all’interno del Centro olio di Viggiano. La compagnia petrolifera replica al Quotidiano del Sud

POTENZA – La contaminazione da cloroformio della falda sotto il Centro olio dell’Eni di Viggiano sarebbe riconducibile ad apporti «da una o più reti fognarie esterne all’impianto». Mentre «le tracce di contaminazione» da ammine sarebbero limitate all’area delimitata dalle barriere idrauliche predisposte proprio per evitare la propagazione di inquinanti di vario tipo. In particolare verso l’invaso di acqua potabile del Pertusillo, 2 chilometri più a valle. E’ quanto dichiarato, ieri, da Eni spa, in una nota indirizzata al Quotidiano del Sud.

La compagnia petrolifera ha voluto replicare così all’articolo intitolato “Centro Eni, nuovo giallo nella falda”, pubblicato sabato 15 luglio online e a pagina 7 dell’edizione cartacea. Articolo che riportava i rapporti appena pubblicati dalla Regione Basilicata sulle operazioni di contenimento dell’inquinamento nella falda avviate nel 2017. All’indomani della scoperta delle perdite da alcuni serbatoi di stoccaggio del greggio valdagrino, per cui 3 dirigenti della compagnia sono tuttora a processo per disastro ambientale.

Nella sua nota, Eni «esclude la presenza di perdite attive all’interno del Centro olio Val d’Agri». Quindi «precisa che tutte le azioni di messa in sicurezza immediatamente attuate a seguito dell’evento del febbraio 2017 e le connesse attività di ripristino ambientale, procedono in conformità con quanto previsto e stabilito dal programma di intervento, con l’applicazione delle migliori tecnologie disponibili, seguendo il principio della maggior cautela possibile e in assoluta trasparenza e attiva corrispondenza con gli enti coinvolti a vario titolo nel procedimento».

Perdite al centro olio di Viggiano, l’Eni: “Azioni di messa in sicurezza pienamente efficaci”

La compagnia del cane a sei zampe si sofferma, poi, sul rinvenimento «di tracce di contaminazione da ammine in area interna alla rete piezometrica, oggetto di tempestiva comunicazione agli enti di controllo». Dunque: «conferma che le azioni di messa in sicurezza, immediatamente attuate e anch’esse condivise con gli enti, sono risultate pienamente efficaci a contenere la contaminazione, la cui fonte primaria è stata compiutamente da subito individuata e rimossa».

«Eni, infine, ribadisce – conclude la nota – che il triclorometano (anche noto come cloroformio, ndr) è sostanza non correlata al processo industriale del Centro olio Val d’Agri e che la sua presenza, secondo i dati al momento disponibili proattivamente raccolti da Eni, risulterebbe riconducibile ad apporti da una o più reti fognarie esterne all’impianto».

Nell’articolo si era dato conto anche del nome in codice attribuito all’incidente delle ammine, che vengono copiosamente utilizzate all’interno del Centro olio per proteggere le apparecchiature dalla corrosione. Nel carteggio tra Eni, Regione Basilicata e Provincia di Potenza, infatti, si parla convenzionalmente, in più occasioni, di “Spill G102”.

Al riguardo, si era anche menzionata una comunicazione di maggio della compagnia, in cui spiegava alle sue controparti istituzionali di aver sottoposto a verifiche la totalità delle «linee di drenaggio amminico del Cova (Centro olio Val d’Agri, ndr)». Verifiche che ne avrebbero confermato l’«integrità», attestando l’inesistenza di «fonti di contaminazione attive». Nonostante le ombre che ancora avvolgono la presunta fonte-non-più-attiva delle «tracce di contaminazione» in questione, che si asserisce individuata e rimossa.

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