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Matteo Renzi

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POTENZA – Archiviare l’esposto dell’ex premier Matteo Renzi contro il pm potentino Giuseppe Borriello per violazione delle sue prerogative parlamentari. Lasciando al ministro della giustizia, Carlo Nordio, e al procuratore generale della Cassazione, Luigi Salvato, la scelta se proporre o meno un’azione disciplinare nei suoi confronti.

E’ questa la proposta che il plenum del Consiglio regionale della Magistratura dovrà vagliare nella seduta dell’8 novembre. Proposta formulata dalla I commissione dell’organo di autogoverno delle toghe che esclude l’esistenza di un’incompatibilità ambientale del pm Borriello, rispetto al ruolo ricoperto, riservando ai titolari dei poteri disciplinari le residue valutazioni.

Alla base dell’esposto dell’ex premier c’è il procedimento pendente a suo carico per le dichiarazioni rese nella primavera del 2020 alla trasmissione di La7, Non è l’arena, condotta da Massimo Gilletti. Stesso procedimento contro cui si era già scagliato all’inizio del mese in un’editoriale del quotidiano da lui stesso diretto, il Riformista, lamentando proprio la violazione dell’articolo 68 della Costituzione, per cui «i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni».

Nei mesi scorsi per quelle dichiarazioni la procura di Potenza ha già spiccato un avviso di chiusura delle indagini, che è l’atto prodromico a una richiesta di rinvio a giudizio. Nei prossimi mesi, quindi, il leader di Italia viva potrebbe finire a processo con l’accusa di diffamazione aggravata ai danni di un altro magistrato potentino, l’ex procuratore aggiunto Francesco Basentini, poi nominato alla guida del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria da un esponente dell’allora ministro della giustizia Alfonso Bonafede, e attualmente in servizio alla procura di Roma.

Lo stesso Basentini che aveva depositato la querela da cui sono partiti gli accertamenti su quelle dichiarazioni rese a “Non è l’arena”. Durante una delle puntate dedicate al caso delle scarcerazioni seguite all’esplosione della pandemia da covid 19, che avrebbe spinto Basentini alle dimissioni dal prestigioso incarico al Dap.

L’ex pm potentino aveva contestato, in particolare, le dichiarazioni dell’ex premier tendenti a collegare la nomina decisa da Bonafede alla gestione dell’inchiesta “Tempa rossa”, sulle corruttele all’ombra del programma di estrazioni di petrolio di Total in Basilicata, che nel 2016 aveva creato non pochi problemi al governo Renzi. Spingendo alle dimissioni la ministra dello Sviluppo economico, Federica Guidi.

L’ex premier, infatti, aveva parlato di un’indagine «scandalo» e un «buco nell’acqua». Sull’inchiesta Tempa Rossa è tuttora aperto, a Potenza, il processo di primo grado per una decina di persone, mentre un singolo imprenditore che ha optato per il rito abbreviato è stato già condannato in via definitiva per corruzione.

Il filone “romano” dell’inchiesta, invece, venne trasferito nella capitale per competenza territoriale poche settimane dopo l’esplosione del caso. Sia per quanto riguarda i rapporti tra la sindaca del comune maggiormente interessato dal programma di estrazioni di Total, Corleto Perticara, e il compagno dell’allora ministra Guidi, Gianluca Gemelli, che per i discorsi telefonici della ministra contro la cosiddetta «cricca del quartierino».

In seguito, tuttavia, i pm capitolini decisero di mandare tutto in archivio, senza approfondire ulteriormente, bollando gli atteggiamenti di Gemelli come «censurabili», ma nulla più. In quanto l’ex sindaca di Corleto non avrebbe mai «preteso o anche solo richiesto contropartite».

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