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di NUNZIO FESTA
LA BANDA della Posta e il pirata Capossela portano al Castello Tramontano balli d’altri tempi e ritmi di lenta frenesia meridiana. Tra musiche d’antan e omaggi alla tradizione dello sposalizio suonato e cantato, fra eleganza d’abiti e dialetti dall’irpina Calitri e sue prossimità, dolci serenate che sono musiche d’amore e un ballo di San Vito insinuatosi prima nelle vene dei musicanti, saliti sul palcoscenico del Festival “Duni” della città dei Sassi, il concerto svoltosi, grazie all’arrivo del marinaio, anzi pirata Vinicio Capossela e della sua Banda della Posta ha coccolato e tanto scaldato il pubblico già fremente. A primo impatto, il sodalizio musicale sembra una combriccola di pensionati levatasi da poco dal baretto alla Arminio. Ma l’imprecisione delle loro esecuzioni fa il paio con la grinta e la volontà che hanno messo in tutto lo spettacolo; dove il buon Vinicio, divertendosi moltissimo, ha intervallato brani proprio da festeggiamento matrimoniale ai suoi maggiori successi. La festa è stata aperta dalla “Corrida” di Cabrel. Poi un valzer a far veramente levare il sipario. Prima del capolavoro, “Con una rosa”.  Che farà da preludio all’intramontabile “Che coss’è l’amor”. Ma mentre impazzava un vecchio western ci si può perfino riposare con il primo degli omaggi, “Si è spento il sole”. E sarà solamente il primo. Visto che più avanti arriverà il tempo del saluto simbolico all’Adamo di “La notte”, dopo l’abbraccio a Celentano e prima del ricordo a Rocco Granata con “Manuela”. Verso il tocco finale, la proposizione dell'”Ovunque proteggi”. Capossela ha fatto ballabili degli anni Cinquanta difficili da trovare. Perché il suo album, “Primo Ballo”, di questo vive e il tour passato dalla modernista Matera questo testimonia. Scansato il pericolo della nostalgia, Vinicio Capossela continua a raccontare la memoria. Trovando ritmi frenetici nella calma meridiana e galvanizzante lentezza in luoghi, persone, e quindi suoni. Tutti meridionali. Muovendo una musica che s’era fermata e dopo aver fermato musiche che scivolavano, invece, verso il burrone della dimenticanza. Allora dei pezzi aggianciati sul treno della ‘”emigrazione ferroviaria” infilata in saluti alla Sardegna d’autore e al garganico Matteo Salvatore, non ci si deve dimenticare. Ché il cerimoniere Capossela, brigante della musica popolare, potrebbe offendersi. Magari mentre fa passare piatti di maccheroni al sugo e vino rosso a toccare camicie già candide. La quadriglia, sicuramente, ricorda specie i paesi. Almeno fino agli anni Sessanta. Però è certo che alcune dimensioni territoriali, anche delle lande lucane spesso silenziate – vedi Potenza e la stessa Matera – dal modernismo, di tarantella e qualche tango, a loro volta fotografate dallo scrittore Gaetano Cappelli, ancora si fa. Seppur in forma a volte d’eccesso da consumismo. Epperò i maestri della Banda di Calitri, sia vero o falso che è stata pescata tutta dietro un ufficio postale in quanto ferma a lamentarsi delle basse pensioni e cose simili, suonavano in sposalizi popolari che ruggivano. Dove comunità di parenti, amici e conoscenti s’innamoravano del divertimento puro. Solamente Capossela avrebbe potuto inventare una riscoperta del genere. E Capossela l’ha fatto. Allora dopo i professionisti del gruppo di Bregovic che lavora a matrimoni e funerali, gli appassionati della Banda della Posta con Capossela già dedita ai contratti da sposalizio, c’è da aspettarsi ancor meglio dai prossimi eventi del Festival Duni, “creatura” del direttore del conservatorio Saverio Viziello.  

LA BANDA della Posta e il pirata Capossela portano al Castello Tramontano balli d’altri tempi e ritmi di lenta frenesia meridiana. Tra musiche d’antan e omaggi alla tradizione dello sposalizio suonato e cantato, fra eleganza d’abiti e dialetti dall’irpina Calitri e sue prossimità, dolci serenate che sono musiche d’amore e un ballo di San Vito insinuatosi prima nelle vene dei musicanti, saliti sul palcoscenico del Festival “Duni” della città dei Sassi, il concerto svoltosi, grazie all’arrivo del marinaio, anzi pirata Vinicio Capossela e della sua Banda della Posta ha coccolato e tanto scaldato il pubblico già fremente. A primo impatto, il sodalizio musicale sembra una combriccola di pensionati levatasi da poco dal baretto alla Arminio. Ma l’imprecisione delle loro esecuzioni fa il paio con la grinta e la volontà che hanno messo in tutto lo spettacolo; dove il buon Vinicio, divertendosi moltissimo, ha intervallato brani proprio da festeggiamento matrimoniale ai suoi maggiori successi. 

 

La festa è stata aperta dalla “Corrida” di Cabrel. Poi un valzer a far veramente levare il sipario. Prima del capolavoro, “Con una rosa”.  Che farà da preludio all’intramontabile “Che coss’è l’amor”. Ma mentre impazzava un vecchio western ci si può perfino riposare con il primo degli omaggi, “Si è spento il sole”. E sarà solamente il primo. Visto che più avanti arriverà il tempo del saluto simbolico all’Adamo di “La notte”, dopo l’abbraccio a Celentano e prima del ricordo a Rocco Granata con “Manuela”. Verso il tocco finale, la proposizione dell'”Ovunque proteggi”. Capossela ha fatto ballabili degli anni Cinquanta difficili da trovare. 
Perché il suo album, “Primo Ballo”, di questo vive e il tour passato dalla modernista Matera questo testimonia. Scansato il pericolo della nostalgia, Vinicio Capossela continua a raccontare la memoria. Trovando ritmi frenetici nella calma meridiana e galvanizzante lentezza in luoghi, persone, e quindi suoni. Tutti meridionali. Muovendo una musica che s’era fermata e dopo aver fermato musiche che scivolavano, invece, verso il burrone della dimenticanza. Allora dei pezzi aggianciati sul treno della ‘”emigrazione ferroviaria” infilata in saluti alla Sardegna d’autore e al garganico Matteo Salvatore, non ci si deve dimenticare. Ché il cerimoniere Capossela, brigante della musica popolare, potrebbe offendersi. Magari mentre fa passare piatti di maccheroni al sugo e vino rosso a toccare camicie già candide. 
La quadriglia, sicuramente, ricorda specie i paesi. Almeno fino agli anni Sessanta. Però è certo che alcune dimensioni territoriali, anche delle lande lucane spesso silenziate – vedi Potenza e la stessa Matera – dal modernismo, di tarantella e qualche tango, a loro volta fotografate dallo scrittore Gaetano Cappelli, ancora si fa. Seppur in forma a volte d’eccesso da consumismo. Epperò i maestri della Banda di Calitri, sia vero o falso che è stata pescata tutta dietro un ufficio postale in quanto ferma a lamentarsi delle basse pensioni e cose simili, suonavano in sposalizi popolari che ruggivano. Dove comunità di parenti, amici e conoscenti s’innamoravano del divertimento puro. Solamente Capossela avrebbe potuto inventare una riscoperta del genere. E Capossela l’ha fatto. Allora dopo i professionisti del gruppo di Bregovic che lavora a matrimoni e funerali, gli appassionati della Banda della Posta con Capossela già dedita ai contratti da sposalizio, c’è da aspettarsi ancor meglio dai prossimi eventi del Festival Duni, “creatura” del direttore del conservatorio Saverio Viziello.  
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