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di FRANCESCO ALTAVISTA
VAGLIO –  Per fortuna c’è il teatro. E’ con questa frase- manifesto che  finisce lo spettacolo “Farse Plautine – tragici successi”, piéce che ha  aperto   la  versione 2013 della rassegna “Mefitis” organizzata dal consorzio nTeatri uniti di Basilicata. Questa esortazione, un gesto d’amore profondo verso il teatro, che arriva dopo quasi due ore di arte dove in scena, nella terribile umidità che rende il freddo sempre più insopportabile  del sito archeologico di Rossano di Vaglio, ha preso forma  e sostanza Plauto  seguito a passi di commedia dell’arte da Moliére a Beckett. In una platea pienissima, che fa registrare il tutto esauritom, c’è chi si copre con coperte ma quando sulla scena  si accendono i fari e dalla penombra emerge una sorta di carro da saltimbanchi e davanti alcune sedie con un tavolo,  il clima si addolcisce   mentre l’anima non può far altro che tuffarsi  nello sguardo più bello del teatro italiano, quello di Vanessa Gravina che entra con un vero maestro come Edoardo Siravo in una sorta di prologo al prologo.  Tutto lo spettacolo si muove come se dovesse teatralizzare il teatro.  Vanessa splendida come o forse di più del meraviglioso cielo stellato che copre tutto intorno,  dopo   che Siravo apre con una dissertazione  filosofica sul teatro, recita  il monologo di Cassandra e lo fa con straordinaria efficacia,  un monologo drammatico ad anticipare uno spettacolo comico. La regia di Cristiano  Roccamo e Luca Cairati anche in scena straordinari nei panni dei figli di Petronio,  crea una sorta di testo che mangia il testo, una sorta di essere mitologico che  con un semplice artifizio letterario – poetico nel tempo di un attimo sostituisce la coda con la testa e viceversa.  Quel carro al centro della scena pian piano si trasforma  in un palcoscenico, saranno proprio  i suoi cambiamenti a dare il senso del tempo che passa. Alla fine l’intreccio si fa vedere ma lo fa  quasi con sgarbo, timidamente come un bambino  portato dai fatti a confessare una birichinata ai suoi genitori. L’ilarità  è sorseggiata, niente “sguaiatezze”  e volgarità,  lo spettacolo vuole far pensare ma non sulla storia che viene raccontata ma sul come una storia prende vita dal nulla su un palcoscenico. Roccamo e Cairati mettono insieme la parte più divertente della pièce, all’inizio della seconda parte  con indosso delle maschere che sembrano davvero muoversi come ondulate sono le parole che con arguzia artistica dispensano al pubblico. Siravo è il perno della storia nella sua visione più classica,  quello della parola che diventa una finestra e la metafora il vento che la apre.  Vanessa Gravina con la sua bellezza leggiadra  come fosse la carezza della  piuma regina  delle ali dell’angelo più bello  del paradiso, dà luminosità  e consistenza agli amori, raccontati quasi “ en passant”  quasi volesse lasciare il posto all’effetto e al romanticismo ironicamente  smielato che  fa restare nel cuore e sugli occhi.  Da Cassandra alla filastrocca della “vispa Teresa” con tanto di continuazione alla Trilussa, mostrano al pubblico che ciò che è stato narrato sul palco non è la fantasia di  Plauto ma la vita di tutti, tutti attori di un grande spettacolo divino sul palcoscenico del mondo, dove ci sono uscite ed entrare e tante storie che finite vengono divorate da altre storie e alla fine per tutti  rimane un sipario chiuso e magari un applauso.

VAGLIO –  Per fortuna c’è il teatro. E’ con questa frase- manifesto che  finisce lo spettacolo “Farse Plautine – tragici successi”, piéce che ha  aperto   la  versione 2013 della rassegna “Mefitis” organizzata dal consorzio Teatri uniti di Basilicata. Questa esortazione, un gesto d’amore profondo verso il teatro, che arriva dopo quasi due ore di arte dove in scena, nella terribile umidità che rende il freddo sempre più insopportabile  del sito archeologico di Rossano di Vaglio, ha preso forma  e sostanza Plauto  seguito a passi di commedia dell’arte da Moliére a Beckett. 

 

In una platea pienissima, che fa registrare il tutto esaurito, c’è chi si copre con coperte ma quando sulla scena  si accendono i fari e dalla penombra emerge una sorta di carro da saltimbanchi e davanti alcune sedie con un tavolo,  il clima si addolcisce   mentre l’anima non può far altro che tuffarsi  nello sguardo più bello del teatro italiano, quello di Vanessa Gravina che entra con un vero maestro come Edoardo Siravo in una sorta di prologo al prologo.  Tutto lo spettacolo si muove come se dovesse teatralizzare il teatro.  Vanessa splendida come o forse di più del meraviglioso cielo stellato che copre tutto intorno,  dopo   che Siravo apre con una dissertazione  filosofica sul teatro, recita  il monologo di Cassandra e lo fa con straordinaria efficacia,  un monologo drammatico ad anticipare uno spettacolo comico. 

La regia di Cristiano  Roccamo e Luca Cairati anche in scena straordinari nei panni dei figli di Petronio,  crea una sorta di testo che mangia il testo, una sorta di essere mitologico che  con un semplice artifizio letterario – poetico nel tempo di un attimo sostituisce la coda con la testa e viceversa.  Quel carro al centro della scena pian piano si trasforma  in un palcoscenico, saranno proprio  i suoi cambiamenti a dare il senso del tempo che passa. Alla fine l’intreccio si fa vedere ma lo fa  quasi con sgarbo, timidamente come un bambino  portato dai fatti a confessare una birichinata ai suoi genitori. 

L’ilarità  è sorseggiata, niente “sguaiatezze”  e volgarità,  lo spettacolo vuole far pensare ma non sulla storia che viene raccontata ma sul come una storia prende vita dal nulla su un palcoscenico. Roccamo e Cairati mettono insieme la parte più divertente della pièce, all’inizio della seconda parte  con indosso delle maschere che sembrano davvero muoversi come ondulate sono le parole che con arguzia artistica dispensano al pubblico. Siravo è il perno della storia nella sua visione più classica,  quello della parola che diventa una finestra e la metafora il vento che la apre.  

Vanessa Gravina con la sua bellezza leggiadra  come fosse la carezza della  piuma regina  delle ali dell’angelo più bello  del paradiso, dà luminosità  e consistenza agli amori, raccontati quasi “ en passant”  quasi volesse lasciare il posto all’effetto e al romanticismo ironicamente  smielato che  fa restare nel cuore e sugli occhi.  Da Cassandra alla filastrocca della “vispa Teresa” con tanto di continuazione alla Trilussa, mostrano al pubblico che ciò che è stato narrato sul palco non è la fantasia di  Plauto ma la vita di tutti, tutti attori di un grande spettacolo divino sul palcoscenico del mondo, dove ci sono uscite ed entrare e tante storie che finite vengono divorate da altre storie e alla fine per tutti  rimane un sipario chiuso e magari un applauso.

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