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VENEZIA – Il Leone d’oro torna 15 anni dopo all’Italia con Gianfranco Rosi e altri premi tricolori sono andati a Elena Cotta e a Uberto Pasolini per Still Life. Questo – avverte con lucidità Alberto Barbera,  direttore della Mostra del cinema di Venezia in un incontro finale di bilancio – non significa una riscossa della nostra cinematografia, «non deve nascondere la vera situazione del cinema italiano». Per Venezia 70 sono stati visionati 155 film, 77 documentari e più di 200 corti, quasi il doppio del passato, «ma la quantità non corrisponde alla qualità. I film che ho visto, tantissime opere prime, non sono di quella qualità medio alta che porta il pubblico in sala. E questo sarebbe sbagliato perchè dopo l’inguardabile cinema anni ‘90 c’è stato uno scatto di reni di qualità che ha fatto recuperare e assegnare la quota incassi di cinema italiano al 45%, se non si investe, non si fanno film di qualità e non commediacce da botteghino o film di low low cost, si tornerà indietro».
L’investire insieme comprende ad esempio il progetto di Biennale college, 1 milione di costo annuo, opere giovani da 150 mila euro e uno dei tre film realizzati, Yuri Esposito di Alessio Fava ignorato dalla stampa italiana e invece con recensioni positive in America persino sul New York Times. Superfluo fare «inutili dietrologie», in un verdetto «equilibrato» che comprende «dal documentario Sacro GRA a Philomena, a Tsai Ming Linag, estremi, contraddizioni, complessità, frammentazioni, del cinema contemporaneo», dice Barbera sulla terrazza del Palazzo del Cinema.
Nella riunione finale della giuria, tre ore e mezzo in tutto, «Bertolucci non si è imposto, i premi sono andati tutti a maggioranza, compreso il Leone d’oro a Rosi. L’unico riconoscimento all’unanimità, quello che ha messo d’accordo tutti era la Coppa Volpi maschile all’attore greco Thenis Panou di Miss Violence». E la nostra Cotta che ha battuto Judi Dench? «Sono stati tre giurati a proporla e hanno convinto gli altri, Bertolucci non c’entra». Tanti, troppi film sulla disgregazione familiare e la violenza? «Erano ben di più quelli che ci sono arrivati, ci si poteva fare un festival intero, ve lo abbiamo risparmiato», ironizza Barbera. Il discorso si allarga all’insieme dei film «la cosa più facile in un festival è sbagliare le collocazioni. Locke di Steven Knight con Tom Hardy ad esempio lo avrei voluto in concorso e sapevo benissimo che mi sarebbe stato contestato ma per ragioni varie l’ho potuto mettere solo fuori concorso».
Così anche per scherzo butta lì un progetto di Mostra con un concorso unico, una cinquantina di film ma certo i giurati e la stampa potrebbero non gradire l’overdose. 

VENEZIA – Il Leone d’oro torna 15 anni dopo all’Italia con Gianfranco Rosi e altri premi tricolori sono andati a Elena Cotta e a Uberto Pasolini per Still Life. Questo – avverte con lucidità Alberto Barbera,  direttore della Mostra del cinema di Venezia in un incontro finale di bilancio – non significa una riscossa della nostra cinematografia, «non deve nascondere la vera situazione del cinema italiano». 

Per Venezia 70 sono stati visionati 155 film, 77 documentari e più di 200 corti, quasi il doppio del passato, «ma la quantità non corrisponde alla qualità. I film che ho visto, tantissime opere prime, non sono di quella qualità medio alta che porta il pubblico in sala. E questo sarebbe sbagliato perchè dopo l’inguardabile cinema anni ‘90 c’è stato uno scatto di reni di qualità che ha fatto recuperare e assegnare la quota incassi di cinema italiano al 45%, se non si investe, non si fanno film di qualità e non commediacce da botteghino o film di low low cost, si tornerà indietro».

L’investire insieme comprende ad esempio il progetto di Biennale college, 1 milione di costo annuo, opere giovani da 150 mila euro e uno dei tre film realizzati, Yuri Esposito di Alessio Fava ignorato dalla stampa italiana e invece con recensioni positive in America persino sul New York Times. Superfluo fare «inutili dietrologie», in un verdetto «equilibrato» che comprende «dal documentario Sacro GRA a Philomena, a Tsai Ming Linag, estremi, contraddizioni, complessità, frammentazioni, del cinema contemporaneo», dice Barbera sulla terrazza del Palazzo del Cinema.

Nella riunione finale della giuria, tre ore e mezzo in tutto, «Bertolucci non si è imposto, i premi sono andati tutti a maggioranza, compreso il Leone d’oro a Rosi. L’unico riconoscimento all’unanimità, quello che ha messo d’accordo tutti era la Coppa Volpi maschile all’attore greco Thenis Panou di Miss Violence». E la nostra Cotta che ha battuto Judi Dench? «Sono stati tre giurati a proporla e hanno convinto gli altri, Bertolucci non c’entra». 

Tanti, troppi film sulla disgregazione familiare e la violenza? «Erano ben di più quelli che ci sono arrivati, ci si poteva fare un festival intero, ve lo abbiamo risparmiato», ironizza Barbera. Il discorso si allarga all’insieme dei film «la cosa più facile in un festival è sbagliare le collocazioni. Locke di Steven Knight con Tom Hardy ad esempio lo avrei voluto in concorso e sapevo benissimo che mi sarebbe stato contestato ma per ragioni varie l’ho potuto mettere solo fuori concorso».Così anche per scherzo butta lì un progetto di Mostra con un concorso unico, una cinquantina di film ma certo i giurati e la stampa potrebbero non gradire l’overdose. 

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