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ROMA – Per parlare del suo nuovo album, Claudio Baglioni è tornato da dove tutto era cominciato 45 anni fa: nell’albergo di Roma dove cantò per la prima volta il lato A del suo primo 45 giri: “Signora Lia.” E proprio una versione chitarra e voce di “Signora Lia” ha fatto da prologo alla pubbliche riflessioni generate dall’arrivo nei negozi di Convoi, il primo album di inediti di Baglioni dal 2003, che raccoglie tutti i brani pubblicati come singoli in versione digitale in un progetto iniziato il 18 maggio, più l’inedito assoluto “Una storia vera.” «Ho firmato il mio primo contratto con la casa discografica per la quale, nonostante le trasformazioni aziendali, lavoro ancora oggi. Parlare di Convoi mi fa sentire come allora, quando non mi rendevo ancora bene conto di cosa fosse il mio lavoro – ha esordito Baglioni – Mi trovo a parlare di un album che non è nato come tale ma come un progetto diverso, di brani composti e messi nel circuito digitale uno dopo l’altro seguendo un percorso che è stato una vera e propria sfida. Devo ammettere che quando si vive una carriera lunga è inevitabile preparare il passo d’addio: dopo che avevo rielaborato “Questo piccolo grande amore” avevo pensato di lasciare senza troppi piagnistei.» 

Dunque Baglioni ha pensato al ritiro, anche se “il palco è difficile da abbandonare.” Ma prima di pensare a cosa fare lontano dalle luci della ribalta e dagli studi si è imposto una nuova sfida: «Fare uscire un brano alla volta significa innanzitutto mettersi in gioco con se stessi, perchè dal pezzo successivo ci si aspetta molto di più e bisogna alzare l’asticella. Questo lavoro mi ha prosciugato. Però mi ha dato nuove energie e prospettive: dopo Dieci dita, il tour invernale in solitario, riprenderò il lavoro che ha portato a Convoi.» 

Per portare a termine questo progetto, Baglioni, come dice lui, ha dovuto “combattere la mia mania di gigantismo” e così ha inciso i pezzi con formazioni ridotte all’osso e composte da fedelissimi, sostanzialmente Paolo Gianolio con Gavin Harrison o Elio Rivagli alla batteria, con l’aggiunta in un paio di brani di un gruppo di coristi. Nell’album si ascoltano citazioni esplicite che vanno dai Procol Harum a Puccini fino alla quartina di Lorenzo il Magnifico, “quant’è bella giovinezza….” «Una volta scrivevo canzoni che esprimevano il concetto che il futuro è il nostro tempo migliore, ora mi viene da pensare appunto che del doman non v’è certezza». 

Dalla mancanza di certezza nel futuro si passa alla disillusione quando si accenna a “O’ Scia“, la rassegna dedicata al tema dell’immigrazione andata in scena a Lampedusa per 10 anni che quest’anno ha chiuso i battenti. «Come artista sono più che felice di quanto è stato fatto a Lampedusa, ma come cittadino sono scoraggiato. Il problema dell’immigrazione è stato affrontato molto male e nessuno se n’è occupato seriamente. 

E’ inutile accusare l’Europa quando non si sa cosa fare. Temo che le cose resteranno così come sono: ci siamo abituati ai 900 milioni di esseri umani che nel mondo muoiono di fame e alle guerre che non hanno mai un responsabile. Ho paura che ci abitueremo anche a questo.»  Altrettanto netto il giudizio su chi pensa di abolire il diritto d’autore. «Continuo a pensare che senza un’editoria forte non si può fare il mio mestiere. Discutere il diritto d’autore è un passo verso la barbarie.» Un’ultima considerazione sulla musica in tv e i talent. 

«Premesso che siamo tutti in contraddizione perchè la maggior parte di noi cantanti va ospite nei talent, quello che non mi piace è la tendenza all’omologazione degli interpreti, la poca importanza che si dà alla composizione e il fatto che i concorrenti ruotino di anno in anno. Per quanto riguarda l’altra tv, ormai siamo diventati il popolo del medley, ammalati del passato e di reducismo. Il bello è che la colpa è anche mia perchè sono stato il primo con Fabio Fazio ad “Anima Mia” a riportare in tv questo tipo di nostalgia.»

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