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«MISSIONE compiuta. Anche se un po’ a fatica». Si può riassumere così la chiacchierata con Simone Di Tommaso per raccontare quella che è stata la stagione della Coserplast Matera. La formazione di pallavolo maschile della città dei Sassi ha chiuso appena domenica scorsa la sua stagione agonistica, con la sconfitta per 3-0 contro Atripalda, che ha segnato la salvezza nella seconda serie nazionale di volley. Un traguardo sudato, fortemente voluto, che premia un anno di sacrifici, ma anche di qualche errore.  Per ripercorrere questa stagione, appunto, abbiamo passato circa un’oretta a chiacchierare con Simone Di Tommaso, il palleggiatore della squadra, il regista, l’atleta che nel bene e nel male è stato il fulcro del gioco della squadra del presidente Tulliani.  Si ripete un po’ l’intervista fatta circa un anno fa, nei primi giorni di maggio. Allora negli occhi c’era la fresca promozione conquistata battendo l’Ortona, con l’ultimo punto di Simone Di Tommaso, adesso c’è comunque soddisfazione per la salvezza raggiunta, ma contro l’Atripalda l’ultima palla toccata da Di Tommaso ha consegnato la vittoria agli irpini.  Destino? Casualità? Una cosa è certa: è con Di Tommaso che bisogna ripercorrere quest’annata.

«E’ stata una stagione che mi è sembrata lunga, molto lunga. Il fatto che sia finita – ci spiega il pescarese – è quasi una liberazione. Mi sembra che sia durata 20 mesi. Ma alla fine abbiamo centrato la salvezza, quello che doveva essere il nostro obiettivo fin dall’inizio. Siamo partiti in quella che era una stagione da vere matricole. Era la prima esperienza in A2 per la società, per l’allenatore, per la piazza (o meglio: la A2 maschile mancava da tanto tempo), per noi giocatori.  Alcuni giocatori erano esordienti assoluti, altri erano alla prima esperienza in A2 in una squadra che doveva lottare per questo tipo di risultato, per questo obiettivo. Questo non ci ha certo favoriti.  Poi arrivare da un campionato vinto, credere di aver allestito un certo tipo di squadra ci ha dato un’eccessiva sicurezza che ha creato delle aspettative che sono andate oltre le reali potenzialità. Questo non ci ha aiutato. Perchè era palese che alcune squadre erano più forti di noi. Se alla prima giornata viene Molfetta, quel Molfetta, ci sta perdere. C’erano quelle cinque o sei squadre che erano oggettivamente più forti. Dovevamo avere sin da subito un’idea più chiara della nostra dimensione. E’ stato questo che ci ha penalizzati in avvio di stagione. Poi ne perdi una, ne perdi due, ne perdi tre e la fiducia viene meno, iniziano le critiche e s’inizia a pensare più alle prestazioni individuali che a quelle di squadra.  Abbiamo iniziato a remare ognuno dalla sua parte. Non che remavamo uno contro l’altro, ma verso obiettivi personali e non verso l’obiettivo di squadra.  Nella prima metà di campionato è stato questo il problema: non abbiamo mai giocato di squadra. Abbiamo avuto problematiche di gruppo, non c’era la stessa coesione che magari ci ha permesso di vincere il torneo di B1. Poi ovviamente la differenza di categoria ha fatto il resto».

Fortunatamente con l’arrivo di Vincenzo Nacci c’è stata un’inversione di rotta, che ha portato ad un finale di campionato differente che è stato premiato con la salvezza. Quindi c’è stato qualcosa nella gestione di Giorgio Draganov e Rosario Braia che non ha funzionato?

«Io ho lavorato bene con tutti e tre gli allenatori e il fatto che ancora adesso con Giorgio e Rosario ho ottimi rapporti è la dimostrazione di questo. Se qualcosa può essere eccepito a Draganov e Braia è il loro essere troppo buoni. Loro hanno dovuto fare i conti con l’inserimento dei nuovi, l’adattamento degli stranieri e con i debuttanti nella categoria. Poi i risultati non ci hanno aiutato.  Ad un certo punto serviva prendere in mano la situazione. Nacci ha fatto questo. Soprattutto nel primo mese ha dettato le linee guida e le cose sono andate per il verso giusto».

Nacci è stato quindi l’uomo della svolta?

«Certamente. Il suo è stato un ruolo fondamentale. Per quanto mi riguarda, mi ha responsabilizzato e allo stesso tempo mi ha tutelato. Un po’ come un buon padre di famiglia che insegna a camminare al proprio figlio. Prima lo tiene per mano, poi man mano che prende maggiore sicurezza lo lascia andare per la sua strada. Così ha fatto con me, ma anche con il resto della squadra. Ci ha chiesto di fare il nostro compito, ognuno il suo, facendo le cose semplici. Ci ha riconsegnato la fiducia in noi stessi e poi quando prendi fiducia, arrivano i risultati, riesci a fare anche altro. Se fai bene il tuo fondamentale, poi inizi a far bene anche tutti gli altri e magari ti riescono anche le cose più difficili.  E poi ha creduto nella salvezza sin dal primo giorno, inculcandoci quella voglia che ad un certo punto era venuta meno. Ci ha motivato, ci ha tutelato. E’ stato questo il segreto. E adesso si è meritato la riconferma anche per la prossima stagione».

Arriva quindi l’investitura per Vincenzo Nacci, ma Di Tommaso resterebbe a Matera anche nella prossima stagione?

«Bisogna partire da una riflessione. Credo che con questa salvezza si sia chiuso un ciclo. Questo non significa che non ci possono essere delle riconferme, ma serve una nuova impronta. Credo che bisogna ripartire da Nacci.  Per quanto mi riguarda, seppur con alti e bassi, considero questa un’esperienza positiva. Mi sono trovato bene. L’obiettivo della salvezza è stato raggiunto e da parte mia c’è la possibilità di aprire una trattativa per una mia riconferma a Matera. Ovviamente non dipende solo da me. Una cosa è certa: con un anno di esperienza sulle spalle sono certo che si potrà fare meglio, sia io che la società».

a.mutasci@luedi.it

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