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Ogni volta che risolviamo un problema o svolgiamo un compito, di fatto eseguiamo un algoritmo. I dizionari dicono che un algoritmo è una sequenza ordinata di operazioni che produce un risultato in un tempo finito. Il termine ha oltre mille anni, ma fino a poco più di cinquanta anni fa, gli algoritmi erano materia esclusiva di matematici e ingegneri. Da quando gli algoritmi sono diventati programmi e sono eseguiti dai computer hanno preso il sopravvento su tante cose del nostro vivere e in futuro potrebbero prendere anche il sopravvento sull’intera umanità.

Tutto quello che avviene in internet è eseguito da un algoritmo. L’enorme ricchezza e il potere di Google o di Facebook si basano su algoritmi. Gli algoritmi hanno portato l’uomo sulla Luna, ogni giorno guidano le rotte degli aerei, ci permettono di telefonare in un qualsiasi sperduto paesino della Terra e governano le fabbriche e i processi produttivi di quasi tutte le nazioni. Con un algoritmo vengono cifrate le comunicazioni da tenere riservate, un algoritmo riconosce le nostre impronte o i nostri volti, altri algoritmi governano il funzionamento delle sale operatorie degli ospedali o permettono ad un chirurgo di operare su un paziente a migliaia di chilometri di distanza. Sono sempre algoritmi sofisticati (hainoi!) a guidare gli acquisti e le vendite sui mercati azionari di mezzo mondo. Insomma, gli algoritmi sono ormai dappertutto e non sarà tanto facile farne a meno in futuro.

Data la loro pervasività e la loro rilevanza, è tempo ormai di capire l’importanza di un uso serio e responsabile degli algoritmi che sono eseguiti nei miliardi di computer, smartphone, tablet e macchine digitali che popolano la nostra vista quotidiana. Basta pensare a come gli algoritmi dei motori di ricerca o dei social network possono raccogliere informazioni su ognuno di noi e alla facilità che quell’enorme organizzatore della conoscenza terrestre che è Google ha nel fornire le informazioni raccolte a chi le paga bene, per comprendere come l’uso irresponsabile o illegale degli algoritmi possa danneggiare le persone, i gruppi e le società.

Oltre all’uso serio e responsabile degli algoritmi oggi in uso, bisognerà anche pensare ad algoritmi che siano rispettosi dei diritti dei cittadini e della società. Algoritmi responsabili che nel loro lavoro non danneggino i singoli individui e le organizzazioni sociali agendo per favorire malintenzionati, criminali, gruppi di potere e altri soggetti con obbiettivi di solo profitto e comunque non benevoli. La società e chi la governa farebbe bene a preoccuparsi degli aspetti legati all’uso degli algoritmi nei computer. Aspetti che spesso vengono ignorati e che nel tempo potrebbero minacciare diritti fondamentali: il diritto alla privacy, i diritti dei più deboli e delle comunità  svantaggiate, il diritto all’informazione, il diritto al consenso sull’uso dei propri dati, il diritto all’oblio (da precedenti giudiziari e simili).

Non sarà forse il caso di pensare ad algoritmi morali, ma porsi il problema dei danni che possono creare gli algoritmi immorali e irresponsabili è ormai una necessità non rimandabile, altrimenti in futuro potremmo avere brutte sorprese e dopo aver fatto il danno, qualcuno per scusarsi darà la colpa ad un algoritmo.

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