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CATANZARO – Una città soggiogata, impaurita, tenuta sotto scacco. Nella quale il boss Giuseppe Giampà, nel dubbio di chi fossero i commercianti che già pagavano e quelli che ancora non lo facevano, ordinò di lasciare una bottiglia di liquido infiammabile davanti ad ogni esercizio. Così, chi già era vittima sapeva che non doveva lasciare i suoi “protettori”, chi ancora non lo era imparava la lezione e iniziava a versare.

Questa è la situazione della città di Lamezia Terme così come è emersa dall’operazione “Medusa” contro il clan Giampà. Una descrizione drammatica, proposta oggi dagli inquirenti nel corso della conferenza stampa che si è svolta a Catanzaro. 

«C’è una soggezione del tessuto lametino alla prepotenza criminale che è totale – ha affermato il procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro, Giuseppe Borrelli – e che si giustificava solo se non ci fossero stati risultati alle attività investigative. Abbiamo potuto desumere che Lamezia Terme è controllata dalla criminalità organizzata, con le cosche Giampà e Iannazzo, e completamente piegata ai voleri di queste cosche. Oggi abbiamo dimostrato che qui è presente il sistema Stato nel suo complesso, spero che per Lamezia Terme inizi adesso una stagione nuova, con una maggiore frattura tra la società dedita alle attività criminali e quella che non lo è, perché – ha concluso Borrelli – bisogna marcare queste differenze». 

E proprio la reazione della Lamezia Terme onesta è stata sottolineata anche dal questore di Catanzaro, Guido Marino, dal generale della Guardia di finanza, Salvatore Tatta, e dal capitano dei carabinieri, Stefano Bove. Un tema, quello dell’omertà, che nei mesi scorsi era stato più volte sollecitato anche dal prefetto di Catanzaro, Antonio Reppucci, che aveva sollecitato una reazione dei cittadini di Lamezia Terme davanti ai continui atti intimidatori. 

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