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 Ieri il mio amico Alberto mi ha detto:  «siamo solo arrivati a una età in cui si raccolgono i frutti coltivati nelle stagioni precedenti». Forse vale per lui che – giustamente: l’ho visto lavorare duro, spaccarsi la schiena (metaforicamente, perché fa solo il libraio) in silenzio  – sta per fare un grande passo nella sua professione-vocazione di sempre. E sono sinceramente contento. Ma per me, e forse per una intera generazione, ho la sensazione che non sia così. È piuttosto, sempre metaforicamente, come se ogni anno fosse l’anno sbagliato per la verdura che abbiamo piantato quell’anno. Questa volta è toccato alle melanzane.
È come se da quando siamo piccoli ci avessero messo in fila, una lunga fila davanti a uno sportello della posta, e come un mantra ci avessero ripetuto per tutto il tempo: «impegnatevi, studiate, preparatevi, che quando sarà il vostro turno vi sarà dato ciò che vi spetta». Ed è poi come se, quando è arrivato il nostro turno, l’impiegato sia andato a fumarsi una sigaretta. E che cazzo!
Il mio amico Alberto, che è anche un inguaribile ottimista, mi ha detto anche che questa maledetta crisi passerà; che non può durare per sempre.
Io penso, invece, che piuttosto, sempre per metafora, dovremo abituarci all’idea che nell’orto va così: non tutte le piante portano frutti; e bisogna godere solo di quelli venuti su bene. Zucche tutto l’anno, e vaffa…
E che l’impiegato della posta ha il sacrosanto diritto di fumarsi una sigaretta, ogni tanto.

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