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 Sono le 3 e 34 e qualcosa mi tiene sveglio, oltre agli ormoni primaverili dei miei vicini di casa. È che mi sono reso conto di essermi cacciato in un pasticcio: aver iniziato a parlare di orti senza aver tentato prima di capire cosa siano, in realtà; di averne tentato una definizione. Perché, al di là di quel qualcosa che ha a che fare con pomodori, patate e altri vegetali coltivati più o meno con cura e costanza, l’orto è qualcosa in più; capace di tenerti sveglio.
Così, ora mi toglie il sonno l’involontaria rassegna mentale di concetti da prendere a prestito, da cui trarre qualche pezzo di definizione per spiegare  qualcosa che attiene all’anima (che brutta parola ho scelto, ma sono pure le 3 e 34 di notte) ma non è un luogo dell’anima, della mente, anzi: è qualcosa di talmente materiale che senza la sua materialità perde ogni senso. Lo so bene: una settimana che non metto piede e mani nell’orto e vedete in che stato mentale sono ridotto.
Perciò non va bene “patria”, neanche in senso metaforico: “Territorio e popolo che vi risiede, unito da una lingua e dall’uniformità di cultura e tradizioni”. Forse andrebbe meglio “terra madre”, nel senso di “Heimat” (che è anche il titolo di un monumentale film di Edgar Reitz che racconta la storia di una famiglia tedesca nel corso del Novecento) nel senso di “dimora originaria”. Ma ci vorrebbe qualcosa, anche, che spiegasse l’attitudine (ora dovrei anche spiegare il concetto di attitudine, e che diamine si sono pure fatte le 3 e 35 e vorrei tornare a letto!) prevalentemente maschile di fare l’orto: una volta diventatola, si resta madre per tutta la vita (e a tenerla sveglia sono quasi sempre i guai – veri o presunti – dei figli, anche se cinquantenni); un padre, appena può, diventa qualcos’altro: un capoufficio, un pensionato, un ortolano.  Qualcosa che spieghi l’insonnia – insomma – a chi non la soffre; come non la soffrivo io, a quindici anni, quando toccava a me accompagnare mio padre a Joggi, e quelle levatacce all’alba mi apparivano incomprensibili, anzi la violazione di un diritto umano inalienabile. Tanto che mi rimettevo a dormire sul sedile posteriore della nostra Fiat 850 anche in quei cinque minuti di tragitto da casa all’orto (tappa alla fontana di Santa Monaca, compresa).
Se qualcuno ha una definizione di orto, me la dia: così torno a letto e mi levo dalla testa anche questa canzoncina che mi ronza dentro dalle 3 in punto…
L’anima è partita/a mezzogiorno e adesso va/vaga sorvolando la città/presto punterà decisamente verso sud/Mare aperto/col deserto/Sotto c’è Israele/nella sua immobilità/coi suoi celi chiari controllati/mare azzurro stretto/dai deserti un po’ più in là/spiagge rosse
sorvolando Eilat…
C’entrerà qualcosa con la definizione che cerco?

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