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Il carcere di Frosinone

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Le rivelazioni del pentito Monti nell’ambito del procedimento sulla mafia dei boschi: «La pistola entrò in carcere con un drone»; da lì la sparatoria nel carcere di Frosinone


CATANZARO – Nel carcere di Frosinone i detenuti calabresi e napoletani facevano entrare di tutto. Telefoni, droga, perfino armi. E addirittura – sembra una scena da film – con un drone sarebbe stata introdotta la pistola con cui il ras napoletano Alberto Peluso sparò, ferendo altri tre ospiti del penitenziario. «Non stavano nella mia sezione, ma la pistola l’ha fatta entrare uno che stava in sezione con me con un drone», rivela Danilo Monti, collaboratore di giustizia risentito dalla Dda di Catanzaro nell’ambito del procedimento contro la mafia dei boschi che nel settembre scorso portò all’operazione Karpanthos. Monti sa qualcosa anche sull’episodio di Frosinone, che suscitò scalpore perché dopo la sparatoria in carcere l’ex ministra Cartabia ordinò un’ispezione.
«C’erano sia telefoni che droga. Giovanni Greco (uno dei destinatari del mega avviso di conclusione delle indagini, ndr) aveva uno di quei telefoni piccoli “L8Star”. Era pieno il carcere, avevano sia smarthpone che di questi telefoni… anche quando stavo nella sezione precauzionale me ne ero preso uno, ma Giusy Trovato non voleva che io chiamassi con quel telefono ma solo con quello del carcere. Penso che questi telefoni entrino dai colloqui perché non c’erano controlli. All’alta sicurezza li facevano entrare i napoletani. Nella sezione dove stavo io al precauzionale, li facevano entrare quelli della quarta sezione e quelli della sezione attenuata».

I rapporti erano anche con i clan del Crotonese, alleati delle cosche della Piccola Sila. Monti ha conosciuto in carcere Umberto Gigliotta, il catanzarese ritenuto dalla Dda del capoluogo calabrese l’immobiliarista delle cosche, legato da un rapporto di comparaggio a Tommaso Trapasso, figlio di Giovanni, capobastone di San Leonardo di Cutro. «Gigliotta l’ho conosciuto in carcere, so che è un compare di Tommaso Trapasso, so che faceva aste. Umberto è stato a Frosinone fino al novembre 2021, poi quando hanno fatto i trasferimenti lo hanno mandato a Viterbo. Pure la domenica mangiavamo tutti insieme. Questi trasferimenti sono stati fatti dopo che hanno fatto entrare una pistola e un napoletano ha sparato a tre persone, un albanese e due napoletani».
E ancora: «Umberto Gigliotta era in cella con Alessandro Nania e un altro ragazzo di Catanzaro che era stato arrestato con i Grande Aracri, ora non mi ricordo il nome. Ricordo però che pranzavamo tutti insieme la domenica, tutti i calabresi insieme. Le celle erano aperte, Umberto Giglitotta lo vedevo sempre… là ci incontravamo tutti, potevi andare anche da una sezione all’altra. Nella decima Sezione eravamo 22 calabresi, la maggior parte eravamo tutti calabresi».

Ha ancora cose da dire, Monti, esponente di spicco della cosca di Cerva, accusato di aver freddato, il 14 aprile 2015, con tre colpi di pistola a Simeri Mare, il macellaio 35enne Francesco Rosso. E sembra smentire la sua ex compagna Giusy Trovato, nipote di uno dei capi della ‘ndrangheta lombarda, Franco Coco Trovato. In una delle intercettazioni la donna, arrestata nell’operazione Karpanthos, sminuiva l’apporto fornito agli inquirenti da Monti, con cui era legata sentimentalmente. «Danilo Monti non è un collaboratore di giustizia, ha collaborato sull’omicidio, ha ammesso le sue colpe ma gli altri erano stati arrestati, lui ha chiuso il puzzle con i due mandanti», diceva la nipote del boss. «Che il mio compagno abbia collaborato su quello che ha fatto ok, ma che abbia collaborato a 360 gradi, non lo permetto neanche ad una mosca di dirlo».

Ma, a quanto pare, Monti continua a fare rivelazioni. Le più fresche sono state versate dalla Dda nel procedimento che potrebbe sfociare in un maxi processo contro la mafia dei boschi.

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