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Nichola Sia

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CATANZARO – “Prima o poi l’ammazzo”. Quel pensiero diventa un’ossessione. Lo dice a tutti. Se lo dice da solo, mentre si rigira tra le mani il coltello dalla lunga lama affilata acquistato una settimana prima di quella tragica sera di ottobre del 2015 (LEGGI LA NOTIZIA DELL’OMICIDIO).

E, alla fine, lo fa. Ma non in preda ad un raptus.

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Nicolas Sia, nel momento di accoltellare a morte il diciottenne Marco Gentile, era “assolutamente capace di intendere e di volere”. Lo scrive a chiare lettere il giudice per l’udienza preliminare, Antonio Battaglia, nelle motivazioni della sentenza emessa lo scorso 28 novembre per condannare l’imputato diciannovenne a 17 anni di reclusione per il gravissimo reato di omicidio premeditato, aggravato dai futili motivi, ed al risarcimento danni pari a 250 mila euro ciascuno per i genitori ed a 90 mila euro ciascuno per le due zie della giovane vittima (LEGGI LA NOTIZIA DELLA CONDANNA).

Motivazioni che, depositate ieri, fanno così chiarezza su tutti gli aspetti tragici di un fatto di sangue che, due anni fa, scosse la città capoluogo per le modalità del delitto, commesso ai giardinetti di San Leonardo, luogo simbolo delle giovani generazioni catanzaresi, e per un movente debole, legato ad un debito di 5 euro per uno spinello ceduto dalla vittima all’imputato.

Quest’ultimo, ingabbiato in una sfera di disagio che lo faceva sentire sempre più lontano dal gruppo al quale apparteneva. Non si sentiva accettato pienamente, osserva il giudice nella sua sentenza, tenendo conto delle perizie psichiatriche alle quali Nicolas è stato sottoposto dopo l’arresto e delle testimonianze di chi lo descrive come un ragazzo fragile, strano, ma non cattivo, tanto da non essere mai incappato in guai giudiziari. Eppure, quel sabato precedente il delitto, Nicolas aveva manifestato la sua intenzione di uccidere. Lo aveva sbandierato ai quattro venti. «Duv’è Marchicedu ca l’aiu e curtediara». E aveva anche tirato fuori il coltello davanti agli amici di Marco. Lo stesso con il quale ad una settimana esatta ha poi portato a compimento il suo progetto sanguinario. È il 24 ottobre del 2015 quando Nicolas torna ai giardinetti con il coltello ancora nelle mani. Avanza verso quell’angolo buio a ridosso di una scalinata luogo di ritrovo della comitiva. Marco è lì. Con gli amici di sempre. A bere e scherzare. Forse anche a fumare.

“Mi hanno detto che volevi accoltellarmi”, gli dice guardandolo sornione, E lui non esita. Nicholas impugna il coltello e sferra i primi fendenti. Alla gola del diciottenne (LEGGI L’ESITO DELL’AUTOPSIA). Una, due, tre volte. Per poi colpirlo al braccio, al torace e alla mano. “Solo un pretesto per dare sfogo al suo impulso, alle sue frustrazioni e al suo disagio sociale e relazionale”, scrive adesso il giudice per motivare la sussistenza dell’aggravante dei futili motivi. Il sangue schizza ovunque. Un amico minorenne della vittima interviene. Ce n’è anche per lui. La lama affilata del coltello di Nicholas lo colpisce al maglione, proprio all’altezza dell’addome. Ma il giovane si salva. E Nicholas si dà alla fuga. Il cuore batte forte. Le mani bagnate del sangue ancora caldo di Marco. Sullo sfondo le urla dei testimoni che hanno assistito impotenti alla scena. I pochi attimi di lucida follia che hanno annientato per sempre due giovani vite vengono ricostruiti, nell’immediatezza dei fatti, dagli amici di vittima e carnefice e dai residenti di un quartiere della “Catanzaro bene”, dove è possibile tutto e il contrario di tutto tra gli angoli bui delle vie della moda. Anche morire per mano di un ragazzo “strano, ma non cattivo”, come osservano gli amici di Marco e Nicolas. Entrambi vittime di una società “distratta”.

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