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Il processo in aula bunker

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LAMEZIA TERME (CATANZARO) – Il 3 febbraio scorso, tra lo stupore generale, si era avvalso della facoltà di non rispondere. Oggi si scopre che Salvatore Schiavone, 46 anni di Nicotera, collaboratore di giustizia, dietro quella rinuncia, avrebbe avuto una motivazione valida: messaggi intimidatori inviati ai suoi familiari più stretti tesi a mettere pressione per indurlo a fare un passo indietro. A denunciarlo in aula, al termine dell’udienza del processo Rinascita-Scott, dello scorso 15 settembre, il pm della Dda di Catanzaro Annamaria Frustaci.

Secondo quanto emerso, Schiavone ha inviato un messaggio al proprio avvocato spiegando i motivi della mancata deposizione nelle ore successive all’udienza del 3 febbraio.

In particolare, sarebbe stato intimorito in seguito a “un’imbasciata” recapitata alla suocera che vive a Nicotera, tra l’altro nelle vicinanze di due imputati del procedimento penale, i fratelli Giovanni e Giuseppe Rizzo, ritenuti vicini al clan Mancuso. Il legale ha informato dell’accaduto la Dda e lo stesso Schiavone avrebbe confermato la circostanza in un apposito interrogatorio. La Procura ha quindi depositato in udienza gli atti che riassumono la vicenda chiedendo l’acquisizione a dibattimento dei verbali o, in subordine, l’escussione del pentito.

Non sono mancate le tensioni in aula, tant’è che l’imputato Giuseppe Navarra ha reso dichiarazioni spontanee affermando che la minaccia a Schiavone non sarebbe arrivata dai messaggi recapitati alla suocera ma dalle parole proferite in aula dal pm De Bernardo quando il pentito ha deciso di non rispondere (“Allora possiamo congedare il teste, poi la Procura prenderà i dovuti provvedimenti”).

Sempre Navarra ha poi invitato il Collegio giudicante a leggere il verbale d’udienza per rendersi conto. A tali affermazioni il pm Frustaci ha anticipato che il verbale d’udienza verrà inviato alla Procura di Salerno – competente per procedimenti sui magistrati del distretto di Catanzaro – per calunnia.

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