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Pasquale Motta

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LAMEZIA TERME (CATANZARO) – Il tribunale del Riesame ha rigettato il ricorso della Procura di Catanzaro contro l’ordinanza del gip Matteo Ferrante che aveva negato la custodia cautelare in carcere per Domenico Aragona, Bruno Malvaggio, Pasquale Motta e Enzo Pandolfo.

Tutti indagati nell’inchiesta “Alibante” scattata il 3 maggio scorso – che interessò in particolare i comuni di Nocera Terinese e Falerna – quando, su richiesta della direzione distrettuale Antimafia di Catanzaro, il gip dispose solo nei confronti di 19 persone (a fronte di 43 indagati complessivamente) 8 misure cautelari in carcere e 9 ai domiciliari, mentre furono 2 le persone raggiunte da una interdittiva rispettivamente, del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, e del divieto di rivestire uffici direttivi delle persone giuridiche.

Tutti ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione di tipo mafioso, concorso esterno in associazione di tipo mafioso, scambio politico-mafioso, corruzione, estorsione, consumata e tentata, intestazione fittizia di beni, rivelazione di segreti d’ufficio e turbativa d’asta.

La Dda, infatti, a settembre scorso, ha avanzato ricorso al Riesame insistendo per la misura cautelare in carcere per Domenico Aragona, Bruno Malvaggio, Pasquale Motta e Enzo Pandolfo, così come anche per l’avvocato Maria Rita Bagalà (agli arresti domiciliari, figlia del presunto boss Carmelo). Nell’inchiesta sarebbero emersi anche gli intrecci politico – mafiose sulle elezioni del sindaco di Nocera Terinese per l’anno 2018.

Proprio in questo contesto sono emerse le figure e i ruoli di Malvaggio, Enzo Pandolfo, Rosario Aragona e Pasquale Motta, giornalista e direttore di LaC Tv fino a maggio scorso quando si dimise da direttore essendo rimasto coinvolto (a piede libero) nell’inchiesta. Secondo la Dda, i prime tre alle elezioni comunali avrebbero partecipato «con il ruolo specifico di referenti politici del boss Carmelo Bagalà con cui avevano condiviso e programmato la predisposizione della lista “Unità Popolare Nocerese” per l’infiltrazione nell’amministrazione comunale, individuando in Massimo Pandolfo il “volto pulito” da fare eleggere sindaco» (fatto poi avvenuto ma solo dopo tre mesi il sindaco Pandolfo si dimise).

In particolare, nella competizione elettorale del 2018, Luigi Ferlaino (ex sindaco di Nocera Terinese, agli arresti domiciliari per la stessa inchiesta poi revocati con divieto di dimora in Calabria) e Pasquale Motta, entrambi incandidabili, «organizzavano» una lista civica denominata “Unità popolare Nocerese” il cui candidato a sindaco era Massimo Pandolfo. «La riprova – scrive la Dda – che la lista in questione fosse riconducibile a Pasquale Motta, si aveva da molteplici intercettazioni: a titolo puramente esemplificativo, Carmelo Bagalà, dialogando delle imminenti elezioni e della lista presentata da Massimo Pandolfo, affermava “Pasquale vince sicuro”, con ciò certificando chi fosse il vero regista della competizione elettorale». Ma il gip a maggio scorso respinse la richiesta di arresto per Motta, evidenziando in particolare che nel corso delle indagini non emersero incontri fra Motta e il boss Bagalà. Nel ricorso al Riesame relativa alla nuova richiesta di arresto, la Dda ha ritenuto, invece, che fra Motta e Bagalà il collegamento sarebbe stato «indiretto, per interposte persone».

Ma il Riesame, negando come il gip la richiesta di arresto per Motta, ha evidenziato il «difetto di gravi indizi idonei a sostenere l’addebito cautelare», escludendo quindi che dagli atti dell’inchiesta «sia deducibile una frequentazione di Motta con il capocosca Carmelo Bagalà in occasione delle elezioni comunali del 2018 a Nocera Terinese».

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