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Francesco Giampà, “il professore”, si trova in carcere dal 1993

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LAMEZIA TERME (CATANZARO) – Lo storico boss Francesco Giampà aveva chiesto la riduzione della pena da scontare (con la conseguenza della scarcerazione) attraverso il riconoscimento del vincolo di continuazione (un particolare meccanismo giuridico grazie al quale chi è stato condannato in processi diversi, ha la possibilità di ottenere una complessiva riduzione della pena da espiare o, nelle migliori delle ipotesi, evitare la carcerazione) tra i reati commessi e per i quali ha riportato pesanti condanne. Ma prima il tribunale di Catanzaro e poi la Cassazione (i cui motivi della sentenza sono stati depositati il 13 febbraio scorso) hanno rigettato la richiesta del capostorico e carismatico del clan, Francesco Giampà, “il professore”, che si trova in carcere dal 1993.

Giampà è sottoposto al 41 bis. A ottobre compirà 76 anni, di cui 31 trascorsi in carcere. Ha subito numerose condanne passate in giudicato e per i quali aveva, appunto, chiesto l’applicazione del vincolo della continuazione relative a diverse sentenze, come quella definitiva, inflitta nel 2010 a 30 anni per essere stato il mandante del duplice omicidio del 4 gennaio 1992 del sovrintendente della polizia di Stato Salvatore Aversa e della moglie Lucia Precenzano. E anche per i 30 anni definitivi per essere stato il mandante dell’omicidio di Salvatore Andricciola, ucciso in un bar di Forlimpopoli il 27 ottobre del 1991. Poi altre condanne (comprese nella richiesta del vincolo della continuazione) per associazione mafiosa e tentato omicidio (quello di Vincenzo Torcasio “carrà”, luglio 2002, posto in essere per vendicare, con modalità tipiche di stampo mafioso, l’uccisione del fratello del capo cosca.) e altre condanne al processo “Medusa” contro il clan che porta il cognome del fondatore, appunto Francesco Giampà.

Giampà aveva fatto ricorso in Cassazione contro l’ordinanza del 19 gennaio 2023, con la quale il Tribunale di Catanzaro, in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva rigettato l’istanza presentata da Francesco Giampà di riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati (grazie a tale sistema, il soggetto che commette più reati simili tra loro, in esecuzione di un unico disegno criminoso, potrà avere una pena più bassa rispetto a chi commette più reati autonomi e diversi tra loro) di cui alle sentenze definitive contro il boss, compreso il duplice delitto Aversa – Precenzano e l’omicidio di Andricciola a Forlimpopoli (anche qui per essere stato il mandante).

Per la Cassazione, il tribunale di Catanzaro, in funzione di giudice dell’esecuzione «ha posto l’accento – scrive la Cassazione – sulla distanza temporale intercorrente tra gli omicidi commessi nel 1991 e nel 1992 e i reati di associazione a delinquere e di omicidio tentato, commessi, rispettivamente, nel 2004 e nel 2002. Non risultano sus-sumibili, per il Giudice dell’esecuzione, nell’ambito di un medesimo disegno criminoso neppure i due fatti di sangue commessi negli anni ’90, atteso che il duplice omicidio, di cui alla sentenza è stato perpetrato nell’ambito di una strategia sovversiva eccezionale rispetto a quella concernente l’imposizione del servizio di guardiania — di cui si nutre ordinariamente la ‘ndrangheta — ambito in cui è ma-turato il delitto di Forlimpopoli».

«Ne consegue che i due omicidi, anche se riconducibili alla medesima cosca, sono stati considerati, dal Giudice dell’esecuzione, frutto di valutazioni e deliberazioni diverse. Per quanto concerne il reato di associazione mafiosa e il delitto di tentato omicidio, il decidente ha ritenuto decisivo, al fine di escluderne una programmazione unitaria, il considerevole arco temporale tra i fatti. Infine, in ordine al reato di cui alla sentenza (relativa al processo Medusa ndr), il provvedimento impugnato ha rilevato l’assoluta eterogeneità dello stesso rispetto alle condotte oggetto degli altri provvedimenti».

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