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Pasquale Giampà

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Il boss di ‘ndrangheta lametino Pasquale Giampà evita la condanna all’ergastolo, a deciderlo la Corte di Cassazione


LAMEZIA TERME – Tra i mandanti di diversi omicidi (con sentenze definitive), più volte condannato (definitivamente) per associazione di stampo mafioso, estorsioni, armi. Ma Pasquale Giampà, 60 anni, pentito da aprile del 2016, alias “mille lire”, evita l’ergastolo.

La Cassazione – Sezioni unite – ha depositato i motivi dell’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata da Pasquale Giampà, (ex boss dell’omonima cosca di cui era un componente della “cupola” che decideva estorsioni e omicidi, cugino del capo storico Francesco Giampà), limitatamente alla statuizione sulla pena che ridetermina in trenta anni di reclusione. Non più ergastolo, dunque, per Pasquale Giampà. Giampà pluricondannato per essere tra i mandanti di diversi omicidi quando faceva parte della “commissione” della cosca Giampà. Ma anche per estorsioni, armi e associazione a delinquere di stampo mafioso nell’ambito del processo “Medusa” e in altri celebratisi nei confronti di capi e gregari del clan Giampà.

PASQUALE GIAMPÀ EVITA L’ERGASTOLO

Pasquale Giampà aveva presentato ricorso in Cassazione contro l’ordinanza del 31 gennaio 2022 del gip del Tribunale di Catanzaro, in funzione di giudice dell’esecuzione, che accoglieva la richiesta volta ad ottenere l’applicazione della disciplina della continuazione in relazione ai reati giudicati con diverse sentenze. Si tratta di un particolare meccanismo giuridico grazie al quale chi è stato condannato in processi diversi, ha la possibilità di ottenere una complessiva riduzione della pena da espiare o, nelle migliori delle ipotesi, evitare la carcerazione. Si va dai 30 anni per omicidio, ai 10 per tentata estorsione aggravata, 12 anni per associazione mafiosa, 14 anni e 9 mesi per una pluralità di omicidi (come mandante) e tentato omicidio, un’altra condanna per omicidio e altre per armi (tutte sentenze definitive emesse tra il 2011 e 2017).

La Cassazione ha rilevato che ad eccezione della sentenza di condanna a 12 anni per tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso (irrevocabile il 12 ottobre 2012) tutte le altre risultavano emesse nell’ambito di giudizi svoltisi con rito abbreviato. Il giudice dell’esecuzione riteneva di individuare, quale violazione più grave, l’omicidio aggravato di Federico Gualtieri. Giudicato e punito con l’ergastolo (Giampà era tra i mandanti dell’omicidio) pena sostituita, in forza della riduzione per il rito, con quella temporanea di trenta anni di reclusione. Nel procedere nei termini descritti, «il giudice dell’esecuzione della pena – scrive la Cassazione – mostrava di prestare adesione all’orientamento espresso dalla Corte di legittimità nel 2019».

IL MECCANISMO DELLA RIDUZIONE DELLA PENA

Da qui il giudice di merito «operava l’aumento sulla pena base dell’ergastolo per il delitto di omicidio di cui alla sentenza citata quantificandolo, per ogni singolo reato, nella stessa misura applicata dai giudici della cognizione e determinandolo, complessivamente, in anni 33 e mesi 9 di reclusione, da ridursi di un terzo per effetto del rito abbreviato. Sulla pena base dell’ergastolo veniva applicato l’isolamento diurno. La successiva riduzione per il rito speciale comportava l’irrogazione della pena finale dell’ergastolo, restando senza effetto l’ulteriore aumento di anni tre di reclusione oggetto della sentenza irrevocabile di ottobre 2012 emessa all’esito di rito ordinario».

A ciò seguiva il ricorso di Pasquale Giampà con l’adesione del sostituto procuratore generale della Cassazione, Elisabetta Ceniccola, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata da Giampà. Quanto alla pena detentiva, da rideterminarsi in anni 30 di reclusione, e con rinvio limitatamente alla rideterminazione dell’aumento della pena pecuniaria. I giudici della Cassazione, scrivono, tra l’altro, che nelle motivazioni «il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto individuare la “pena più grave” inflitta in quella di anni trenta di reclusione, ossia al netto della riduzione per il rito, e su questa apportare gli aumenti per i reati satellite nella misura quantificata in complessivi anni 33 e mesi 9 di reclusione (ridotti per il rito abbreviato ad anni 20 e 6 mesi); applicato il criterio moderatore previsto avrebbe dovuto rideterminare la pena definitiva in anni 30 di reclusione».

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