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Petronà, il pentito ricostruisce la faida dei boschi: “trent’anni di omicidi come favori”, oggi la montagna è «libera»


PETRONÀ (CATANZARO) – «Siccome eravamo di paesi vicini, ci scambiavamo favori, omicidi». Inizia così la cantata del pentito di Petronà Domenico Colosimo, detto “’Ndrina”, su una serie di delitti che nell’ultimo trentennio hanno insanguinato i boschi della Presila catanzarese, con propaggini anche fuori regione. I suoi interrogatori stanno fornendo agli inquirenti nuovi tasselli di conoscenza su quegli omicidi come “favori”, che si susseguirono fino alla pax decretata dagli Arena di Isola Capo Rizzuto. La guerra negli anni di piombo era tra le famiglie Carpino e Bubbo di Petronà, ma era coinvolta anche tutta una galassia di cosche del Catanzarese e del Crotonese. Affiliato ai Carpino di Petronà in una fase in cui i capi, Salvatore e Francesco Carpino, erano detenuti o risiedevano a Genova, le decisioni principali nel clan le prendeva Mario Gigliotti.

Colosimo era uno dei killer e prese parte a molti delitti, subì un attentato, era addentro alle dinamiche criminali che si celavano dietro altri fatti di sangue di cui indica contesto, moventi, responsabilità che spesso coinvolgono la ‘ndrangheta del Crotonese, da cui i clan della Presila dipendono gerarchicamente. Un fiume in piena, Colosimo. Spetterà al procuratore di Catanzaro Vincenzo Capomolla e ai suoi sostituti trovare riscontri ai racconti del pentito. Un lavoro che è già iniziato, come si evince da un’informativa di oltre 600 pagine. Parte di quei racconti sono stati versati nel fascicolo dell’inchiesta che nel settembre scorso portò all’operazione Karpanthos. Pochi giorni dopo l’arresto Colosimo già “cantava”.

FAIDA DEI BOSCHI, GLI OMICIDI: EUGENIO GENTILE

Uno dei primi omicidi di cui Colosimo parla è quello di Eugenio Gentile, esponente dei Bubbo freddato nell’ottobre 2003. «Ho accompagnato Mario Gigliotti e Giuseppe Rocca con la mia macchina in Sila, Angelo Sculco e Angelo Talarico erano già arrivati, poi io me ne sono andato. I fucili erano nella macchina di Talarico e Sculco, loro erano nascosti, il camion con Eugenio si è avvicinato, hanno aperto il portellone lato passeggero e lui è scappato dal lato guida, nella confusione è partito un colpo e l’hanno ammazzato, è stato colpito a un braccio anche Rocca che diceva che Talarico gli aveva sparato apposta».

FAIDA DEI BOSCHI, GLI OMICIDI: LUIGI BARBERIO

Poi, siamo nel 2016, «c’è stato l’omicidio di Luigi Barberio». Al summit Colosimo c’è, la proposta di morte viene da Angelo Talarico ed «erano tutti d’accordo». L’azione: «eravamo io e Giovanni Greco, Antonio Iervasi ci ha accompagnato con una macchina ad Andali, era rubata, siamo scesi e abbiamo aspettato la telefonata di talarico. Noi eravamo in una casupola, come è arrivato lo squillo lui è passato e Giovanni gli ha sparato col fucile. io avevo una calibro 7 ma non ho sparato».

FAIDA DEI BOSCHI, GLI OMICIDI: SILVANO TALARICO

Sull’omicidio del dipendente comunale Silvano Talarico, compiuto nel luglio 2008, Colosimo sostiene che i killer sarebbero stati Giovanni Greco e Antonio Iervasi. Al summit lui c’è, l’ordine parte da Gigliotti. Il commando aspetta che la vittima predestinata finisca di lavorare ed entra in azione a due chilometri dal centro abitato. «Lui era su uno scooter, Iervasi e Greco su una moto rubata, il primo guidava e il secondo sparò». Colosimo non ha mai creduto al movente passionale con cui, negli ambienti criminali, fu giustificato l’agguato.

DUPLICE OMICIDIO IN TOSCANA

La scia di sangue arriva fino in Toscana. Nell’aprile 2006 Colosimo lavora come manovale a San Giovanni Valdarno, dove si tiene il summit preparatorio per l’agguato ai fratelli Angelo ed Ettore Talarico. Pare che i due non dessero più “conto”. «Li abbiamo attirati con una scusa – è il racconto di Colosimo – in una casa dove c’erano soldi da rubare, siamo partiti in cinque su una macchina da lavoro, una Passat bianca, io, Giovanni Greco, Mario Gigliotti e i due fratelli. Io e Giovanni eravamo armati, avevamo due pistole addosso. Come sono scesi io ho sparato a Ettore e Giovanni ad Angelo. Ettore è scappato mentre Angelo era già morto, poi Giovanni lo ha rincorso e lo ha finito a una ventina di metri. Gli avevo sparato alla testa».

I corpi vengono sepolti in una buca scavata da Gigliotti giorni prima. «Li abbiamo sollevati e buttati nella buca, poi ce ne siamo andati ognuno a casa sua». I corpi qualche giorno dopo verranno ritrovati. In Toscana c’è anche Pino Arena, poi scomparso nel nulla: sarebbe stato l’esponente di vertice della cosca di Isola ad “autorizzare” il duplice omicidio e poi a fornire appoggio logistico ai killer mettendo a disposizione una casa in cui si nascosero.

L’ATTENTATO FALLITO

In questo contesto uno degli agguati, non andati a segno, lo subisce proprio Colosimo, che non riesce a scorgere i killer incappucciati. Siamo nel 2004, poco dopo l’omicidio Gentile. «Si sapeva che facevo la vedetta e i Bubbo hanno deciso di colpire me. Stavo parcheggiando la macchina in un garage a 50 metri da casa, sono arrivate due persone a piedi da una stradina, hanno iniziato a sparare colpendomi ma non in parti vitali, sono riuscito a scappare anche se ero ferito dietro la testa e alla schiena, lungo una discesa, dove stanno i miei cugini che si sono messi a gridare facendo fuggire gli attentatori».

ALTRI DELITTI

Colosimo sa anche qualcosa sull’omicidio di Angelo Sculco, caduto nell’ottobre 2003 ad Andali: sostiene che ad ucciderlo sia stato Sergio Iazzolino «che voleva prendersi la montagna». L’ex boss di Sersale fu poi ammazzato a sua volta a Steccato di Cutro, nel marzo 2004. Sergio Pisano, invece, «voleva Catanzaro», ma verrà ammazzato anche lui nel febbraio 2016. Sempre a Cutro, in contrada Termine Grosso, nel febbraio 2010, viene freddato in un’auto rinvenuta carbonizzata Giuseppe Lia, anche lui di Sersale.
In quel periodo «stavano ripartendo i vari territori – sostiene sempre Colosimo – su Sersale avevano messo Gigi Pane capo società ma a Giuseppe Lia non andava bene e cominciava a dare fastidio alle ditte, a chiedere soldi. Mario Ferrazzo e Gigi Pane lo hanno chiamato più volte. Poi è stato ammazzato». Dopo la pax, il capocosca di Mesoraca, Ferrazzo, sarebbe divenuto il boss della montagna. Ma con il suo arresto la montagna è di nuovo «libera». Per fare il nuovo capo dovrà riunirsi la «commissione». Colosimo dixit.

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