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L’interno del casolare con la botola dove fu gettato il corpo di Gennaro Ventura

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Nel 27esimo anniversario della morte di Gennaro Ventura, il fratello Raffaele lo ricorda in una lettera: “Impossibile cancellare il vuoto”

LAMEZIA TERME (CATANZARO) – Il 16 dicembre del 1996 il fotografo e già carabiniere a Tivoli, Gennaro Ventura, aveva un appuntamento nel primo pomeriggio nel suo studio di via Carducci con Gennaro Pulice. L’appuntamento, segnato da Ventura su un’agenda trovata nel suo studio fotografico dai carabinieri, era per un servizio fotografico che Ventura avrebbe dovuto fare in un terreno con vecchio casolare che Pulice disse di avere intenzione di acquistare. Ma era una trappola per Ventura che, da quel maledetto primo pomeriggio di 27 anni fa, non è più tornato a casa. Mai il fotografo avrebbe potuto immaginare che quello era un appuntamento con la morte. Pulice, ex killer della cosca Cannizzaro, portò il fotografo in quel posto per ucciderlo. Pulice fece salire su una Fiat Panda il fotografo per recarsi nella zona da fotografare, fra le campagne, (Ventura portò con se la borsa contenente la macchina fotografica) giunti sul luogo, appena scesi dall’auto, Pulice freddò il fotografo con due colpi di pistola alla nuca.

Gennaro Pulice nel luglio del 2015 “salta il fosso” diventando collaboratore di giustizia, rivelando anche di essere stato il killer del fotografo e già carabiniere in servizio a Tivoli, nel 1991, quando testimoniò in un processo determinando la condanna del cugino di un boss. Che poi si vendicò ordinando a Gennaro Pulice l’eliminazione di Ventura. Quell’ordine di uccidere è costata una condanna a 30 anni di carcere divenuta definitiva a gennaio 2021 per Domenico “Mimmo” Cannizzaro, mandante dell’omicidio del carabiniere e fotografo Gennaro Ventura, vittima del dovere a cui ad agosto del 2021 gli è stata intitolata una piazzetta. Un omicidio, quindi, legato a una vendetta.

A rivelare il mandante il killer del carabiniere, il pentito Pulice, condannato definitivamente a 7 anni e 8 mesi in appello, una sentenza che amareggiò molto i familiari di Ventura. La svolta alle indagini a luglio 2015 (dopo un primo procedimento archiviato) a seguito delle rivelazioni di Pulice che, a quasi 20 anni dall’omicidio, un mese dopo essere finito in carcere nell’ambito dell’operazione Andromeda, rivelò il nome del mandante e il movente, indicando Cannizzaro come colui il quale ordinò l’eliminazione di Ventura per vendetta poiché la vittima, da carabiniere in servizio a Tivoli, fece arrestare e condannare nel 1991 (per una rapina di un quantitativo di droga da un laboratorio di un perito chimico a Roma), Raffaele Rao, cugino di Cannizzaro.

Ventura fu ucciso all’età di 28 anni e i resti furono ritrovati il 25 aprile 2008 in un vecchio casolare di campagna di località Carrà – Frasse in una cisterna sotto il pavimento utilizzato per la vendemmia. Insieme ai resti di Ventura furono ritrovati la fede nuziale del fotografo con incisi i nomi di Ventura e della moglie e la data del loro matrimonio, il telefono cellulare della vittima, due macchine fotografiche intatte e accanto una borsa da fotografo con all’interno vari accessori. Gennaro Pulice raccontò di aver portato Ventura in quel vecchio casolare con la scusa di un servizio fotografico per poi invece ucciderlo. Le indagini successive alla scomparsa di Ventura riuscirono a individuare la persona che aveva l’appuntamento quel pomeriggio del 16 dicembre 1996 con Ventura (appunto Gennaro Pulice) che però quando fu sospettato (sulla base dell’appuntamento scritto sull’agenda di Ventura) dichiarò di non averlo incontrato e quindi di averlo atteso invano davanti il suo studio dove i carabinieri trovarono parcheggiata l’auto di Ventura.

Pulice poi viene arrestato a maggio 2015 (a Serravalle Scrivia dove risiedeva) nell’ambito dell’operazione “Andromeda” e un mese dopo “saltò il fosso” questa volta rivelando di essere stato lui ad uccidere Ventura (e non solo) con due colpi di pistola in testa, gettando poi il corpo del fotografo in una botola per la fermentazione del mosto.

LA LETTERA DI RAFFAELE VENTURA

Nel giorno del ventisettesimo triste anniversario, Raffaele Ventura, fratello di Gennaro, ricorda il fratello con una toccante lettera: «Mi manchi fratello mio. mille parole non bastano a cancellare il vuoto che hai lasciato.. Anche se mi mancherai per sempre, la gioia che hai portato nella mia vita riscalderà il mio cuore di amore e inebrierà i ricordi di felicità. La malinconia mi assale ogni volta che penso a come sarebbe potuta essere la nostra vita, i giorni passano e si trasformano in anni, ma il tuo ricordo e sempre vivo dentro di me. Mi manchi fratello mio. Ricordo con grande affetto tutti i momenti, anche se solo per pochi anni, che sono riuscito a condividere con te, quei momenti pieni di risate e felicità sono ciò che mantiene la tua anima viva e vicina alla mia. Oggi, sono 27 anni che ci hai lasciato – conclude la lettera Raffaele Ventura – ma non siamo tristi perché il tuo ricordo e il tuo amore continuano a riscaldare il cuore di tutti coloro che hanno avuto l’onore di conoscerti. È vero che non posso toccarti, ascoltare la tua voce o vederti, ma posso sentirti nel mio cuore. Ci manchi, ma sappiamo che oramai sei in un posto migliore. Mi manchi fratello mio».

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