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Il palazzo comunale di Catanzaro

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CATANZARO – Accuse attenuate nei confronti dei 29 consiglieri comunali del capoluogo finiti nella maglie dell’inchiesta della Procura di Catanzaro nota come “Gettonopoli”  (LEGGI LA NOTIZIA). Non ci fu un falso nella compilazione dei verbali delle commissioni consiliari perché «i medesimi verbali di riunione non erano materialmente portati dai consiglieri all’ufficio ragioneria del comune per la successiva liquidazione». Non ci fu, inoltre, truffa ai danni dello Stato per il percepimento dei gettoni di presenza. Sono queste le ragioni per le quali la Procura ha inteso alleggerire le contestazioni nei confronti degli amministratori pubblici.

Agli avvocati dei consiglieri comunali indagati è stato, infatti, notificato il deposito degli atti con cui il pm Pasquale Mandolfino ha aggiornato l’iscrizione del reato rispetto all’avviso di conclusione indagini di dicembre. In sostanza è stata sostituita l’originaria imputazione della truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e uso di atto falso in continuazione e concorso con il reato di truffa “semplice” seppur sempre a danno di un ente pubblico.

«Il modus operandi del meccanismo truffaldino contestato agli indagati – si legge nel nuovo atto del pm – deve essere ribadito. Le contestazioni mosse dalla Procura stigmatizzano il contegno dei consiglieri comunali. L’attività investigativa è consistita nell’acquisizione dei verbali delle riunioni, nella registrazione videografica dell’afflusso dei consiglieri nelle aule degli uffici comunali. La contestazione si fondava essenzialmente sull’assunto per cui i consiglieri comunali si avvalevano di falsi verbali anche per veder riconosciuto il gettone di presenza. Orbene, a seguito di una più approfondita analisi il reato contestato avrebbe riguardato più la truffa inerente elargizioni o finanziamenti pubblici (esempio le truffe in agricoltura). I gettoni di presenza non rappresentano pubblici finanziamenti, costituiscono se mai forme di profitto».

Questo significa che la Procura, almeno per la parte dell’inchiesta che riguarda la presunta indebita percezione dei gettoni di presenza, ha ridimensionato il reato rispetto all’originaria formulazione notificata lo scorso 13 dicembre. Una decisione che aprirebbe la strada alla possibilità di ricorrere alla “particolare tenuità del fatto”.

Tuttavia il riferimento al solo “capo H” nell’atto notificato agli indagati – ovvero quello riguardante la sola questione dei presunti gettoni di presenza non dovuti e che ha interessato l’intera assise cittadina, ad eccezione del consigliere Roberto Guerriero, del presidente Marco Polimeni e del sindaco Sergio Abramo – non si traduce in una riqualificazione complessiva dell’intera inchiesta. Dovranno rispondere del reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche quattro consiglieri comunali dipendenti di ditte private (Sergio Costanzo, Tommaso Brutto, Andrea Amendola ed Enrico Consolante) e i relativi datori di lavoro con l’accusa di essersi accordati per l’assunzione fittizia con il fine di ottenere i rimborsi a danno del Comune di Catanzaro.

L’inchiesta che si è abbattuta su Palazzo De Nobili alla vigilia delle scorse elezioni regionali aveva generato un forte clamore mediatico a livello nazionale che ha determinato le dimissioni di cinque consiglieri comunali: Nicola Fiorita, Gianmichele Bosco, Libero Notarangelo (poi eletto in Consiglio regionale) e Roberto Guerriero (quest’ultimo non indagato). Gli effetti mediatici dell’inchiesta sulla gestione “allegra” delle commissioni consiliari, inoltre, avevano portato ad una crisi politica che ha investito la maggioranza di centrodestra che sostiene il sindaco Abramo con il gruppo di Forza Italia guidato dal coordinatore provinciale Mimmo Tallini che aveva prima annunciato e poi ritrattato le dimissioni di massa dei propri consiglieri. Da un punto di vista squisitamente politico le fratture si sono ricomposte dopo l’affermazione di Jole Santelli alla guida della regione che ha rimescolato gli equilibri interni al centrodestra catanzarese e con un mini rimpasto di giunta e qualche trasmigrazione all’interno dei gruppi consiliari di maggioranza. Il resto lo hanno fatto le surroghe dei consiglieri dimissionari di minoranza: non tutti i “subentranti” hanno scelto di posizionarsi dove erano stati collocati dal voto delle urne finendo per rafforzare la maggioranza di Abramo.

Tornando all’inchiesta, la parola ora passa al Gip che dovrà decidere se e quali posizioni archiviare e quali eventualmente rinviare a giudizio. Gli indagati sono difesi, a vario titolo, dagli avvocati, Adolfo Larussa, Antonio Ludovico, Giuseppe Pitaro, Amedeo Bianco, Stefania Caiazza, Sergio Rotundo, Maria Antonietta Iorfida, Antoni Lomonaco, Eugenio Felice Perrone, Giancarlo Pittelli, Giovanni Merante, Gregorio Viscomi, Danilo Iannello, Helenio Cartaginese, Vincenzo Ioppoli, Francesco Iacopino, Michel De Cillis, Gemma Alfieri, Saverio Nicola Loiero, Enzo De Caro, Danila Gullì, Marco Reina, Flavio Pirrò, Rosario Montesanti, Maurizio Belmonte e Luca De Munda.

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