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Sergio Abramo presidente Upi Calabria

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CATANZARO – Ai dipendenti della Provincia di Catanzaro non era mai successo di passare il 27 del mese senza bonifico: la puntualità nel pagamento degli stipendi, con tanto di posizioni organizzative e straordinarie, da sempre un vanto per i vertici dell’Amministrazione davanti alle delegazioni trattanti per il contratto decentrato.
Tutta colpa del debito milionario che grava sulle casse dell’amministrazione provinciale in gran parte provocato dai contratti derivati sottoscritti nel lontano 2007. E non solo.

Resta l’ombra lunga del default e le casse in rosso, complice una disastrosa riforma degli enti decentrati che ha smontato gli Enti intermedi con l’obiettivo di chiuderli per asfissia finanziaria, nonostante il referendum del 2016 li riconosca baluardo costituzionale. Chiamati in causa i parlamentari calabresi, che nei giorni scorsi hanno risposto all’appello del presidente dell’Upi Calabria, Sergio Abramo, il presidente della Provincia di Catanzaro torna alla carica richiamando l’attenzione del vice ministro dell’Economia e delle Finanze, al quale viene chiesto un incontro urgente.

Perché a fare le spese di «una situazione gravosa e non più rinviabile» saranno i dipendenti della Provincia, in questo caso di Catanzaro – ma miglior sorte non tocca o toccherà alle “consorelle”, è giù successo a Vibo e toccherà anche a Crotone – ma anche gli studenti che frequentano gli istituti di competenza, quando a causa della mancanza di risorse non si potranno pagare le bollette, ma anche i musei, le strutture culturali di competenza dell’Ente (dal Museo Marca al March passando per il Museo Storico Militare).

Nella lettera inviata al vice ministro all’Economia – uno dei tre responsabili dei dicasteri chiamati in causa nella riunione di lunedì scorso – Abramo si riferisce allo scenario in cui le Province operano «a seguito delle frenetiche operazioni legislative che le hanno coinvolte dal 2014 in poi».

Alcuni numeri, presenti all’interno di un rapporto redatto dall’Upi, sono utili per fare chiarezza:  «Prima della legge Delrio le Province italiane erano 107, elette direttamente dai cittadini, e avevano circa 43mila dipendenti in dotazione. La riforma ha toccato le 86 Province delle Regioni a statuto ordinario, che sono diventate 76 Province e dieci Città metropolitane. Gli effetti dirompenti, al di là dei nomi scelti e della discrepanza tra Regioni, si sono avuti sulle funzioni. La riforma stabilisce che restano in capo alle Province la gestione dell’edilizia scolastica delle medie superiori e la costruzioni e gestione delle strade provinciali. Nel primo caso – scrive Abramo – si tratta di oltre 5.100 edifici scolastici nei quali studiano più di 2,5 milioni di ragazzi. Per quanto riguarda la viabilità, invece, si parla di 130mila chilometri di strade, pari all’80% della rete viaria nazionale sulla quale insistono 30mila tra ponti, viadotti e gallerie. Come evidenziato da un monitoraggio ordinato dal ministero delle Infrastrutture dopo il crollo del ponte Morandi, molti di essi sono in condizioni critiche. In capo alle Province sono rimaste anche pianificazione territoriale di coordinamento, nonché tutela e valorizzazione dell’ambiente, pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali, funzioni di stazione appaltante e organizzazione di concorsi e procedure selettive. La Manovra del 2014 ha tagliato 3 miliardi di finanziamenti nel triennio 2015-17 ed ha sforbiciato del 50% il personale delle 76 Province: 16mila dipendenti sono stati trasferiti con procedura di mobilità o sono finiti in pensione. L’incidenza media dei tagli delle manovre economiche dal 2012 al 2018 sulle entrate proprie delle Province è pari al 60,4%».

Purtroppo, aggiunge Abramo, «le macerie che ha prodotto la riforma Delrio sono talmente evidenti che anche coloro che all’epoca ne caldeggiarono l’approvazione oggi ne riconoscono gli effetti nefasti. Non ritengo, quindi, opportuno dilungarmi in illustrazioni divenute con il tempo ovvie per tutte le parti politiche.  Va da sé – conclude il presidente dell’Upi – quanto tale situazione generi disagio sociale e frustrazione in centinaia di famiglie. La gravità della situazione rende non più procrastinabile la trattazione, in modo sistematico, delle problematiche rappresentate».

Chiede un incontro al più presto, Abramo «per un incontro valido a definire un percorso che renda possibile la sopravvivenza di un ente fondamentale per i territori, al quale parteciperanno anche i parlamentari e le sigle sindacali». Si faccia in fretta, insomma. Perché i dipendenti non possono essere le vittime incolpevoli di una «riforma a metà».

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